Pensare Ribelle

il bambino Arlecchino che non è nato con la camicia

La storia del piccolo Giovannino ha suscitato durante la settimana passata commenti e prese di posizione. Al centro la storia di un bambino nato con una malattia molto severa e incurabile chiamata “Ittiosi d’Arlecchino” per le placche che ricoprono il corpo di chi ne soffre, che è stato abbandonato dai genitori che non se la sentivano di assistere un figlio destinato a atroci sofferenze e una vita probabilmente molto breve. Il piccolo è stato accolto da un istituto torinese ma quando è cominciata a trapelare la notizia c’è stata una gara tra persone disposte ad adottarlo. Tra chi ha dichiarato di comprendere i genitori il ginecologo Silvio Viale . (per questo probabilmente subirà un procedimento disciplinare) Molti altri hanno preso posizioni opposte. Al momento è in atto una sottoscrizione a favore del bambino. Io il giorno in cui LA STAMPA dette per prima la notizia fui chiamato a commentarla. Riporto qui come riflessione da condividere quello che scrissi il 6 novembre su quella storia e che fu pubblicato, non è certo Giovannino un “cervello ribelle” di quelli di cui mi occupo, ma il fatto che fosse nato tragicamente con il vestito di Arlecchino addosso me lo rese immediatamente affine rispetto ai tanti nati con la camicia.. 


Sembrava facile razionalizzare il significato dell’essere genitori. Potrebbe persino ridursi in formule da copiare nel Bignami del compito a casa fatto sui social. Ogni pensiero ci divide a metà: da una parte quelli del diritto ad avere un papà e una mamma, dall’altra quelli di genitore 1 e genitore 2. In mezzo un fossato invalicabile e ognuno forte della sua visione la impugna come bandiera. Poi arriva il bambino Arlecchino… Tutti si ammutoliscono. Diventa complicato continuare a sventolare quella bandiera, almeno se dietro si conserva un briciolo di coscienza non intaccata dalle metastasi dell’ideologia, che tutto si mangia del nostro essere umani.

Il bambino Arlecchino nuovamente potrebbe riassegnare ruoli standard. Ancora da una parte quelli che: “è un dono che va amato comunque sia”, dall’altra: “nessuno giudichi una scelta che deve essere libera.”
Invece no. Il bambino Arlecchino ha la missione di farci riflettere sulle ipocrisie generali, sulle ideologie soffocanti, sulla nostra impotenza nel gestire la vertiginosa velocità con cui tutto sta mutando.

E’ infinita la tenerezza che ci fa il piccolo Arlecchino, con quel suo costume disegnato sulla pelle che lo veste da condannato a morte dal primo istante di luce, pur lasciandolo nudo e solo. Non riusciamo veramente a farci forti di un giudizio, che non passi per la nostra esperienza. Circostanza assai difficile in realtà, di arlecchini ne viene al mondo uno su un milione, di solito non sopravvivono e quindi nemmeno se ne parla.
Il bambino Arlecchino di Torino invece si è ben guardato dal morire, ha dato tutto il tempo a qualcuno di pensare, di fuggire, di nascondersi.
Erano i suoi genitori? O erano le persone che volevano provare l’esperienza di un figlio in gestazione, prendendo un embrione dal ghiaccio e mettendoci loro l’incubatrice umana? Non c’è risposta oggettiva. Nemmeno bisognerebbe farsi domande.

Che sarebbe invece accaduto se lui non fosse nato vestito da Arlecchino, ma da Brighella, Ballanzone o Pulcinella? I suoi genitori avrebbero di sicuro proclamato al mondo il realizzarsi del loro desiderio, avrebbero messo le sue foto su Instagram come Ferragnez qualsiasi e non staremmo qui a parlarne.
Ci sarà sicuramente chi avrà tanto pelo sullo stomaco da assegnare verdetti di condanna. Solo chi coltiva cinismo e bigotta spietatezza riuscirà a farlo. Chi ancora conserva quel senso antico di pietosa accoglienza Arlecchino invece se l’è preso e se l’è portato a casa.
Così che lui, frutto della moderna ingegneria procreatrice, prende una strada che sembrava chiusa, verso un luogo dove andavano a finire tutti i bambini che nessuno voleva, proprio perché, come Arlecchino, erano nati con il vestito sbagliato.

Sembrava che quel posto non esistesse più. Gli avevano persino camuffato il nome, perché forse “Cottolengo”, per oscuro pregiudizio, non era certo un brand che evocasse serenità e leggerezza. Eppure oggi, se non ci fosse stato il Cottolengo, per il bambino Arlecchino, progettato come figlio * ma diventato di nessuno appena nato, non ci sarebbe stato un posto possibile. Un posto in culla dove assaggiare, per quel che potrà, di quanta incertezza è infarcito il mondo, puntellato d’incrollabili atti di fede laddove è più fragile e mutevole.

(LA STAMPA)

  • nella prima versione del pezzo avevo scritto eterologo, perchè questo risultava dalle notizie e non perchè per me fosse una differenza rilevante. L’ho tolto in questa stesura perchè il ginecologo Viale citato nella premessa l’ha smentita. L’ho tolto anche perchè su questa circostanza naturalmente c’è stato chi ha biecamente speculato. Per quanto mi riguarda come l’avessero concepito cambia poco, rispetto alla riflessione sul bambino arlecchino…(GN)

Gianluca Nicoletti

Giornalista, scrittore e voce della radio nazionale italiana. E' presidente della "Fondazione Cervelli Ribelll" attraverso cui realizza progetti legati alla neuro divergenza. E' padre di Tommy, giovane artista autistico su cui ha scritto 3 libri e realizzato due film.

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