Cosa fare

Un figlio autistico nell’emergenza coronavirus

La settimana scorsa ho scritto un post per il mio blog in cui mi chiedevo come si potessero salvaguardare le persone con disabilità dal virus che circola ormai in tutti gli angoli del mondo. Dopo poco averlo pubblicato, ho ricevuto un messaggio privato da un mio contatto su Facebook. Si chiama Martina e di mestiere fa l’operatrice all’interno di un centro diurno a Milano. “Ti spiego”, mi scrive. “Quando il 23 febbraio hanno annunciato la chiusura delle scuole, abbiamo tutti pensato che avrebbe chiuso anche il nostro centro diurno, ma il giorno dopo l’ATS, l’azienda sanitaria che gestisce i centri come il nostro, ha deciso di lascarli aperti, perché si tratta di servizi indispensabili come gli ospedali e i centri per le persone anziane. Tra l’altro, nessuno ha pensato di darci a disposizione amuchina, guanti o mascherine…”

Ovviamente, si tratta di un problema molto complesso: è meglio lasciare i centri aperti, e attendere l’inevitabile, e cioè che qualcuno, utente o operatore, si ammali e contagi tutti o chiudere i centri e oberare le famiglie, spesso con persone anziane che non sono più in grado di gestire i propri figli? “Non vogliamo abbandonare i disabili, che sia chiaro. Ma anche loro devono essere considerati come tutti i cittadini: responsabili per se stessi e per gli altri”.

Nel centro dove lavora Martina ci sono 22 utenti, ma fino alla settimana scorsa, nove dei ventidue sono rimasti a casa. Alcune famiglie hanno deciso di non farli andare per paura o per consapevolezza, invece alcuni hanno continuato a frequentare. “Il centro diurno, per molti genitori, è considerato un’ora d’aria, la possibilità di lavorare o fare delle cose in modo autonomo. Non tutti, poi, sono in grado di gestire le difficoltà sia fisiche che mentali dei figli. Eppure, se si infettano, per le famiglie è peggio: primo perché alcuni di loro hanno un sistema immunitario più debole e sono a rischio, ma poi perché rischiano di infettare i genitori anziani”.

Martina mi raccontava anche che è diventato molto difficile fare il suo lavoro, perché molti degli utenti sono molto affettuosi, e vorrebbero abbracciarla e starle vicino, e si sente molto a disagio dover dire che per ora non si può fare. Teme che non capiscano, che si sentano rifiutati.

Teme anche che le famiglie si sentano abbandonate, e vorrebbe poter trovare una soluzione anche solo temporanea per riuscire ad aiutare, magari offrendo dei servizi a domicilio. Pare invece che passare da una casa all’altra sia ancora più pericolo per la trasmissione del virus, e che la Regione non voglia farlo. “Ci sono famiglie con persone disabili gravissime, che davvero non ce la fanno. Come facciamo ad abbandonarle?”

Le chiedo se si possano fare dei test, richiedere dei tamponi per capire chi è contagiato sia tra gli utenti che tra gli operatori, ma mi dice che non esiste, non li fanno neanche a chi è malato e giovane, figurasti se li fanno alle persone disabili!

Poi ha fatto un’osservazione che mi ha colpito molto: mi ha detto che lei e i suoi colleghi se sentono al tempo stesso vulnerabili e indispensabili, come se fossero dei medici. “Ma sai, io non sono medico, sono un’educatrice, non ho mai pensato di essere così indispensabile, come se fossi un medico o un infermiere. Da un lato penso che da cittadina io mi debba tutelare e debba tutelare gli altri, ma da lavoratrice no, mi sento che dovrei solo aiutare. Sono molto confusa”.

Non sono momenti facili per nessuno. Lo sono ancora di più per chi si trova a gestire una realtà che di solito non si vede e che invece in questo caso non si può ignorare.

Ho chiesto oggi a Martina se il centro nel frattempo è chiuso: “L’ATS lascia la RESPONSABILITÀ agli enti gestori di decidere sulla chiusura ma anche sulla risposta ai bisogni delle famiglie e dell’utenza in forme alternative che devono essere descritte. Se abbiamo idee in merito, dice, ben vengano. Si è dibattuto a lungo, anche sul domiciliare. Bisognerebbe informare tutte le famiglie, raccogliere il bisogno e garantire il servizio a domicilio ad almeno metà dell’utenza. Altrimenti non si fornisce continuità di servizio. Ma è molto più rischioso per gli operatori andare in giro e in casa. Allora è meglio mantenere la situazione attuale dove famiglie usufruiscono in base al bisogno. Chi interrompe un servizio di pubblica utilità non autorizzato procura un danno ai cittadini. È lo stesso dibattito tra regione e governo…”.

Chiedo quindi a voi genitori, a voi utenti e a voi operatori cosa ne pensate, e come si potrebbe migliorare questa situazione così complessa?

Marina Viola

marinaliena

Leggi Pensieri e Parole, il mio blog:
http://pensierieparola.blogspot.com
Marina Viola porta il quaranta di scarpe. Vive a Boston e ci fa il diario di quella che pensiamo essere l’ altra parte della luna. Che significa per noi autistici vivere negli Stati Uniti? Potete farle anche domande….

 

 

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

Lascia un commento

Pulsante per tornare all'inizio