Stevie l’autistico reazionario
Nel 1907 venne pubblicato il libro “L’agente segreto” di Joseph Conrad che trae ispirazione da un fatto realmente accaduto: lo scoppio accidentale di una bomba a Greenwich Park ad opera di un gruppo di anarchici. Il francese Adolf Verloc conduce una vita apparentemente tranquilla; ha un negozio di articoli erotici che gestisce insieme alla moglie Winnie, una donna molto più giovane di lui che ha accettato di sposarlo a patto di poter portare la madre e il fratello disabile Stevie a stare con loro. In realtà Verloc si guadagna da vivere facendo la spia per la propria ambasciata e l’informatore per Scotland Yard. La sua capacità di mantenere questi delicati equilibri viene messa a dura prova quando giunge un nuovo ambasciatore che gli chiede di organizzare un attentato in grado di scuotere la città, pena la sua rimozione dall’incarico. Messo alle strette, Verloc si fa aiutare da Stevie a portare a termine l’impresa senza immaginare le conseguenze di questa sua scelta.
Era difficile da sistemare, quel ragazzo. Era delicato e, nella sua fragilità, anche bello, a parte quel pendere vacuo del suo labbro inferiore
Molte analisi letterarie sono state riservate al personaggio di Stevie e, alla luce delle attuali conoscenze, si può senza dubbio affermare che si tratti di una perfetta caratterizzazione della neurodiversità. È sicuro che nelle intenzioni dello scrittore non ci fosse quella di descrivere l’autismo; siamo ben lontani dai primi lavori scientifici di Kanner e Asperger, mentre sembra più probabile che Conrad sia stato influenzato dal libro “Degenerazione” di Max Nordau e dalle teorie lombrosiane.
Nel romanzo il personaggio di Ossipon, soprannominato il Dottore, un ex studente di medicina senza laurea, profondo conoscitore di Lombroso, rimane colpito da Stevie e, sulla base di alcune caratteristiche anatomiche, lo classifica come un tipico degenerato
Ottimo esemplare anche, in complesso, di quel genere di degenerati. Basta guardargli i lobi delle orecchie. Se leggessi Lombroso…
Il ragazzo sembra presentare molte peculiarità descritte da Nordau, tra le quali l’emotività. Egli reagisce in maniera esagerata ai discorsi, spesso molto teorici, del gruppo di anarchici che si incontrano di nascosto nel negozio di Verloc.
Il ragazzo sente troppo di quello che si dice in questa casa […] Era fuori di sé per qualcosa che ha sentito per caso sul mangiare la carne e bere il sangue del popolo […] Non è adatto a sentire quello che si dice qui. Crede che sia tutto vero.
L’incapacità di comprendere la metafora è sicuramente una delle caratteristiche dell’autismo, non c’è l’astrazione e tutto viene interpretato alla lettera. Quando è sopraffatto dalle emozioni, Stevie non riesce a parlare, balbetta fino al punto di soffocare e, in presenza di comportamenti violenti da parte di terze persone, reagisce d’impulso con azioni di fuga accompagnate a stereotipie verbali. Nell’episodio in cui accompagna la madre all’ospizio che la ospiterà fino alla fine dei suoi giorni, la sua inquietudine è percepibile, parola dopo parola, in un crescendo che raggiunge l’apice quando il vetturino della carrozza, che hanno preso a noleggio, frusta il cavallo per regolarne la velocità e l’andatura. A quel punto Stevie comincia a ripetere ossessivamente. “Povera bestia! Povera gente!” finché, incapace di controllare l’emotività, scende dal cocchio in movimento, incurante del rischio. È questo un altro aspetto della neurodiversità : la totale mancanza di consapevolezza di fronte ai pericoli che è descritta anche in un altro episodio che lo vede indaffarato a sparare fuochi di artificio per le scale come reazione ad atteggiamenti vessatori di altre persone. Il comportamento di una persona autistica, qualunque sia il grado di disabilità cognitiva, non è mai immotivato ed è reattivo a situazioni scatenanti che impegnano la sfera sensoriale e quella emotiva.
In rapida successione faceva partire una serie di razzi impetuosi, di girandole rabbiose, di petardi assordanti; e la faccenda avrebbe potuto diventare molto seria
Un’altra caratteristica della neurodiversità è il deficit di attenzione; Stevie non riesce a portare a termine le commissioni affidategli perché distratto da tutto ciò che lo circonda e che, in assenza della presenza rassicurante della sorella, è in grado di sovreccitarlo fino a farlo gridare in mezzo alla strada. Per tale motivo non è in grado di vivere autonomamente, di badare a se stesso, rappresentando una delle preoccupazioni della madre che incomincia a pensare al futuro senza di lei. Decide perciò di lasciare ogni bene alla figlia in modo da renderla responsabile nei riguardi del fratello, o almeno lo spera.
Discorso particolare va riservato all’arte di Stevie, quel riempire i fogli di cerchi concentrici che si intersecano generando forme spezzate. Nordau parla di attività artistica come forma di degenerazione condannando alcuni tipi di letteratura e di pittura, di solito quelle decadenti o di influenza francese e ponendo sullo stesso piano i degenerati mentali con artisti, pensatori, riformatori, santi e dinamitardi. È proprio nei disegni di Stevie che Conrad fornisce un’analisi del pensiero imperante in quel periodo. L’innocente Stevie, seduto buono e tranquillo al tavolo di legno, intento a disegnare cerchi, cerchi, cerchi; innumerevoli cerchi, concentrici, eccentrici; un folgorante vortice di cerchi che per la moltitudine arruffata delle curve ripetute, per l’uniformità della forma e per la confusione delle linee intersecantesi suggeriva una rappresentazione del caos cosmico, il simbolismo di un’arte folle che tenta l’inconcepibile.
Sicuramente ciò che colpisce della storia è l’ignavia di Verloc, tratteggiata dopo poche pagine. Era troppo pigro persino per essere un semplice demagogo, un oratore dei lavoratori, un dirigente sindacale. Troppa fatica. Costretto ad agire, a compiere un attentato per poter mantenere i privilegi presso l’ambasciata, non si fa scrupolo ad usare Stevie che considera un essere totalmente inutile. «Potresti fare quello che vuoi di quel ragazzo, Adolf. Si butterebbe sul fuoco per te…». Questa frase di Winnie accende l’interesse di Verloc che per la prima volta guarda il cognato con altri occhi. Per tre volte lo porta con sé in giro per la città fino al giorno fatale. L’episodio è orribile, contrario ad ogni morale, inchioda il lettore che spera che i resti dilaniati non siano quelli del ragazzo, ma un pezzo di un cappotto con scritto l’indirizzo ne è la drammatica conferma. E viene da commuoversi nel pensare a questo semplice espediente affinché quel gigante buono potesse sempre essere riaccompagnato a casa.
Gabriella La Rovere