Come la pandemia impatta sulle persone con bisogni educativi speciali
Un recente studio inglese ha valutato l’impatto della pandemia su bambini con bisogni educativi speciali. Sia i genitori che i figli hanno riferito del senso di perdita, della costante preoccupazione, dei cambiamenti repentini dell’umore come reazione a quanto succedeva attorno a loro.
Lo stare a casa ha rivoluzionato le routine che le famiglie si erano costruite nel tempo e che avevano reso più gestibile la loro vita. In generale i genitori hanno sperimentato maggiore ansia e stress rispetto ai figli. Come dar loro torto? Avverto ancora l’angoscia nel momento in cui è stato decretato il lockdown. Il mio primo pensiero è stato: come lo dico a Benedetta? Come farle capire lo stato di emergenza che ci costringe a stare isolati? Non si trattava del terremoto che, ahimè, lei ha sperimentato, durante il quale è stato difficile tranquillizzarla e poi metterla in sicurezza. In questo caso la minaccia era silenziosa e le conseguenze disastrose per entrambe: la separazione improvvisa senza che ne fossimo pronte.
Ma torniamo allo studio inglese che ha esaminato 6 reazioni correlate con il lockdown: preoccupazione; perdita; umore, emozioni e comportamento; sapere cosa sta succedendo; impatto enorme, minimo o positivo. La preoccupazione è stata divisa in tre sottocategorie: preoccupazione per se stesso, per gli altri, in generale. Sebbene alcune delle apprensioni descritte siano comuni a tutti – genitori e figli – la maggior parte era tipica delle famiglie con un bambino con bisogni educativi speciali. Le preferenze alimentari limitate sono state un bel problema da risolvere in situazione di ingressi frazionati ai supermercati, di scelta limitata e rifornimento garantito solo per prodotti di prima necessità. C’è stata poi la preoccupazione che l’isolamento dai pari potesse non solo aggravare il loro comportamento, ma peggiorare lo stato cognitivo, buttando alle ortiche anni di fatiche e rinunce.
La perdita è stata descritta da molti partecipanti come risultato del COVID-19, distinguendo 4 sottocategorie: perdita di routine, perdita delle strutture e della rete di sostegno, perdita del contatto con lo specialista e, per alcuni, anche una perdita economica. È probabile che alcune di queste perdite siano diffuse nella comunità, come la perdita di accesso alle reti di supporto, i cambiamenti nelle perdite di routine e in quelle finanziarie. Tuttavia, i dati suggeriscono che, in alcuni casi, gli effetti di queste perdite diffuse fossero ingigantite nelle famiglie con un bambino con bisogni educativi speciali. Per Benedetta la perdita ha significato mancanza di contatto visivo: non era tanto non fare lezione di percussioni, ma non vedere più il suo insegnante. Fortunatamente la tecnologia è venuta in soccorso ed ogni giorno ci sono state diverse videochiamate con amici, parenti e insegnanti.
Per quanto riguarda umore, emozioni e comportamento, è indubbio che il carico emotivo più pesante è stato letteralmente trascinato dalle famiglie con un figlio/a con bisogni educativi speciali, perché i figli crescono e le madri imbiancano. Non mi vergogno a dire che dopo mesi difficili per contenere (e accettare!) la prima crisi psicotica acuta di Benedetta, l’arrivo della pandemia ha esaurito le mie ultime risorse psichiche. Per sessanta giorni ho dovuto mantenere molto alto il livello di attenzione trasformando in positivo situazioni che rischiavano di farla precipitare in uno stato di grave agitazione. Era impensabile l’accesso d’urgenza in ospedale per qualsiasi motivo, dalla banale ferita alla crisi psicotica acuta. Per tutto il lockdown sono spariti coltelli, forbici e qualsiasi altro oggetto che potesse essere usato contro se stessa. La rabbia può essere difficile da contenere quando tua figlia ti sovrasta in altezza e peso ed ha tutta la forza della sua giovane età.
Sapere cosa stesse succedendo è stato un elemento chiave delle risposte di alcuni partecipanti allo studio inglese. I genitori hanno descritto situazioni in cui il basso livello di comprensione di un bambino ha generato l’angoscia perché non riuscivano a capire perché tutto fosse cambiato. Nei casi di bambini minimamente verbali il loro disorientamento era talvolta espresso in comportamenti sfidanti, se non oppositivi. I dati hanno evidenziato che una migliore comprensione ha avuto migliori risultati. Per i bambini con ridotte capacità cognitive sono state molto utili le storie sociali, per gli altri hanno funzionato i collegamenti in remoto.
L’ultima categoria è quella più importante. Personalmente mi inserisco nel primo sottogruppo, quello dei sopraffatti da questa inaspettata mission impossible: sessanta giorni a stretto contatto, senza una pausa, una tregua, costantemente pronta a rispondere alle mille domande, sempre le stesse, provocate dalla sua inesauribile ansia. Chiudersi in bagno non ha mai funzionato e io alla mattina pregavo che arrivasse subito la sera. L’impatto minimo o positivo è stato descritto da una minoranza di famiglie per le quali la pandemia non è stata percepita come dannosa. Le emozioni positive sono state spesso espresse nelle famiglie in cui il bambino aveva difficoltà all’inserimento scolastico. Per loro, l’auto isolamento e l’allontanamento sociale hanno portato a un periodo di tregua calma, creando un ambiente più rilassato per loro e le loro famiglie.
Non tutto il male viene per nuocere e il mio esaurimento fisico e mentale è stata la spinta per avviare il processo di indipendenza emotiva (perché “dopo di noi” è brutto a dirsi!) che altrimenti non sarebbe mai arrivato. Neanche questo è un percorso facile e Benedetta non manca di esprimere la sua contrarietà con tutta la forza che ha in corpo. Staccare due individui in simbiosi vuol dire aiutare il più debole a prendere in mano la propria vita… E questo non è Benedetta!
Gabriella La Rovere