La favola della balia elettronica che può proteggere dai rischi delle relazioni digitali
Ho commentato ieri su La Stampa il problema dell’accesso ai social network di chi non abbia la maturità necessaria a gestirne i pericoli. Si parlava di un bambina trovata strangolata; senza base di certezza al momento è prevalsa l’ipotesi che fosse accaduto per una sfida su TikTok. A distanza di un giorno, come spesso accade, si sono moltiplicati i casi dove, con qualche analogia, riprende il filone. Leggo il racconto di un minorenne romano che confessa di essere entrato in passato nel “tunnel della challenge dell’orrore “Blu Whale”, tralascio di ritornare sulla leggenda della balena blu, perché è vecchia e già troppo se ne è parlato. L’altra notizia, che cerca di riagganciarsi al tema, è quella di una ragazzina fiorentina scappata di casa, pare assieme a un’amica conosciuta su TikTok, che continua comunque a postare puntualmente, anche in fuga, sul social cinese. Sono decenni che si parla, a cadenza periodica, di vicende nefaste legate alla frequentazione della rete, in cui è evidente l’incapacità di parte dell’umanità a gestire questa prima fase della nostra evoluzione digitale, vuoi per troppo giovane età vuoi per immaturità, o per vero e proprio analfabetismo funzionale.
Quasi sempre viene accennata, paventata o reclamata la soluzione della barriera tecnologica, che dovrebbe magicamente selezionare le persone abilitate da quelle inappropriate. Rendiamoci conto che questa è impossibile, soprattutto è limitativo stabilire le fasce di età come criterio di sicurezza. Proprio come una volta si vietava un film ai minori di 14 anni. L’accesso alla rete non è presidiato da un cassiere che chiede il documento a chi vuol fare il biglietto. L’unico limite, almeno per i piccolissimi, è interdire loro l’uso degli strumenti di accesso da parte dei genitori. Allo stesso tempo sarebbe indispensabile che le autonomie a muoversi nelle interconnessioni digitali fossero materia di didattica, non come optional, ma come disciplina sin dalla suola primaria, a tutti i livelli e, paradossalmente, anche erogabile per moduli formativi destinati a ogni fascia d’età. Il fenomeno così detto delle “Truffe romantiche” è, come esempio, indicativo di quanto si possa essere sprovvisti di strumenti razionali, per navigare in questo mare, anche in età più che matura.
Insomma come Karl Popper nei primi anni 90 parlò di una “patente” per chi producesse programmi televisivi, oggi una simile abilitazione dovrebbe gradualmente essere garantita, da qui ai tempi a venire, per chi si troverà con uno smartphone in mano, che potenzialmente lo può mettere in contatto con chiunque in qualunque parte del mondo.
La storia da cui è partita questa mia riflessione è nota; riguarda un fatto accaduto a Palermo, dove una bambina di 10 anni è stata trovata in fin di vita nel bagno di casa sua, aveva una cintura stretta al collo. Al momento l’unica certezza sul caso è che la bimba sia morta. Il mostro però è già stato sbattuto in prima pagina: si chiama TikTok, noto social cinese. Il Garante per la protezione dei dati personali gli ha intimato di accertarsi, d’ora in poi, dell’età dei suoi frequentatori. Ecco come una tragedia sta rischiando di produrre una farsa.
Qualcuno dovrà spiegarci come da oggi sarà possibile impedire, con soluzioni tecnologiche, ai bambini di giocare su TikTok, come pure su tutti gli altri social network. Per quello che sappiamo c’è solo una maniera, il resto è pura fantasia. È la legge italiana che lo dice, senza ombra di dubbio: nessun minore di 13 anni può iscriversi a qualsiasi piattaforma social, nemmeno se lo autorizzassero i genitori.
Sarebbe quindi un dovere proprio di mamma e papà impedire al figlioletto, sotto quella soglia di età, di accedere ad aree di condivisione digitale, sicuramente complicate da gestire. Invece nella media famiglia si confonde l’innata capacità infantile a maneggiare dispositivi, con equivalente maturità nel capirne i limiti.
È sicuramente meno impegnativo concordare che sia TikTok il responsabile di un fatto che ci annichilisce, piuttosto che farsi portatori del concetto, sgradevole assai, che adulti responsabili dovrebbero impedire a ogni figlio inadeguato per età di frequentare le piattaforme social, come pure di farea uso di sistemi di messaggistica, a cominciare da Whatsapp fino ai suoi simili, che sono altrettanto pericolosi perché permettono potenzialmente a chiunque di entrare in stretto contatto con il minore.
Torniamo però alla soluzione che tutti appaga: perché non accadano più fatti simili bisogna imporre a TikTok di impedire che i piccolissimi lo frequentino, si sa infatti che in quel posto la gente si cimenta nella nefasta “Blackout Challenge”. A parte che dell’auto soffocamento, come di altre sfide autolesionistiche nei social, se ne parla da almeno 10 anni, quando ancora non esisteva TikTok.
Al momento non sono emerse prove della sfida mortale nello smartphone della bimba, nemmeno sappiamo se nella sua cronologia sia tracciata una frequentazione con chi questa sfida stava praticando, promuovendo o condividendo, e comunque sia il problema non è TikTok. I garanti dovremmo essere noi, che invece continuiamo a mettere in mano ai nostri bambinelli i bei giocattoli per grandi, che li ammaliano a camminare sul ciglio del precipizio.