Alfred Frank Tredgold: lo “scienziato” del degrado morale che genera i deboli di mente
Alfred Frank Tredgold è una figura interessante e controversa nell’ambito della disabilità mentale. (Di lui in rete non ci sono foto…) Nacque il 5 novembre 1870 a Derby, figlio di un caposquadra edile e di una casalinga. Studiò alla Durham University e al London Hospital, dove viene ricordato come uno studente eccezionale con borse di studio e premi in biologia, anatomia, fisiologia, patologia. Dopo la laurea ottenne un finanziamento del London County Council per lavori scientifici sul deficit mentale. Nel 1905 fu nominato investigatore medico presso la Royal Commission on the Feeble-minded. Il suo libro sulla deficienza mentale venne considerato il racconto più ampio e autorevole dalla sua prima edizione nel 1908; l’ottava edizione uscì il giorno della sua morte (17 settembre 1952), quarantaquattro anni dopo la prima.
Il 3 maggio 1909 presentò una relazione al Meeting Annuale dell’Associazione Nazionale per il Welfare dei deboli di mente dal titolo “I deboli di mente: un pericolo sociale” che merita una lettura e una riflessione. Nell’introduzione viene accennato alla generale indifferenza sul problema dei malati di mente, rispetto alle preoccupazioni derivanti dalla povertà, disoccupazione, mancanza degli alloggi, alcolismo e mortalità infantile; una ignoranza e indifferenza non solo deplorevoli ma pericolosi in quanto, andando a fare una valutazione in numeri, ci si poteva accorgere che si era di fronte ad una vera emergenza sociale.
Al 1° gennaio 1906 in Inghilterra ci sono 8.654 idioti, 25.096 imbecilli, 104.776 bambini e adulti deboli di mente per un totale di 138.529 persone con deficit mentale, con un’incidenza di 1:248. Tutto ciò porta a considerare che i cosiddetti deboli di mente sono una parte della società meritevole di attenzione.
Di seguito viene fatto un accenno alla casualità affermando che il deficit mentale sia conseguenza di condizioni specifiche precedenti in grado di provocare debolezza fisica e nervosa.
Andando ad indagare la storia familiare dei deboli di mente, ho scoperto che i loro fratelli e le loro sorelle erano criminali, prostitute, poveri o debosciati. Non so quale sia l’incidenza rispetto alla popolazione generale. È difficile poter fare una stima anche solo valutando l’epilessia, in quanto non ci sono dati in merito. Tenendo presente la cosiddetta follia, ho calcolato che in Inghilterra e nel Galles al 1° gennaio 1906 non ci fossero meno di 125.827 persone. Se questo numero viene aggiunto a quello di persone con deficit mentali, ho stabilito che in questo paese una persona su 130 soffra di una grave patologia mentale.
La relazione entra nel vivo delle sue convinzioni con il concetto di Degenerazione Nazionale, conseguenza della degenerazione morale, intellettuale, fisica dei cittadini, una calamità peggiore delle guerre e della carestia. I deboli di mente e le loro relazioni rappresenterebbero una parte considerevole dei fallimenti sociali di una nazione in quanto, non solo non contribuirebbero alla sua crescita, ma ne impedirebbero l’avanzamento, dirottando le poche risorse presenti.
L’aumento numerico dei deboli di mente sarebbe la conseguenza di una certa promiscuità e degrado morale. Secondo il Registro Generale, il numero medio di nascite all’interno del matrimonio è di 4,63. Nel caso di donne con debolezza mentale è superiore a 7. È ovvio che se questa diffusione allarmante non viene controllata, la nostra nazione avrà una prevalenza di cittadini mancante di vigore fisico e intellettuale che è assolutamente necessario al progresso.
Andando avanti la lettura stimola sentimenti contrastanti ed anche la consapevolezza che certe convinzioni siano talmente radicate nell’uomo da poter pensare ad una trasmissione genetica delle aberrazioni ideologiche. Secondo Tredgold, l’evoluzione della scienza ha contribuito alla sopravvivenza dei deboli di mente che, in altre epoche, sarebbero morti precocemente. Non dico che ciò sia sbagliato perché credo che il dovere della mia professione sia di combattere le malattie in ogni forma; ma se la scienza sociale non tiene il passo con quella medica, la fine sarà il disastro nazionale. Non appena la nazione raggiunge quello stadio di civilizzazione nel quale la conoscenza medica ed il sentimento umanitario operano per prolungare l’esistenza degli inabili, allora diventa imperativo per quella nazione manipolare tali leggi sociali così da assicurare che queste disabilità non si propaghino.
Le leggi sociali dovrebbero controllare la promiscuità, non tanto all’interno del gruppo dei deboli di mente, dove sarebbe invece possibile che la morbilità accumulata sia così potente da determinare la sterilità e la estinzione, ma tra sani e malati in quanto si abbasserebbe il vigore generale della nazione. Il secondo passo proposto da Tredgold è il controllo delle persone con tendenze criminali (Lombroso docet!) in quanto ci sarebbe una stretta relazione tra loro e i deboli di mente.
Ho accertato che il 10% di queste persone mentalmente deficienti hanno tali tendenze criminali e allo stesso tempo è stato calcolato che il 20% di coloro che sono in carcere soffrono di un definito disturbo mentale.
Di seguito viene affrontato il problema dell’improduttività che, ahimè, rimanda alla spesa improduttiva, concetto espresso qualche anno fa da un politico italiano. Agli inizi del 1900, il popolo britannico spendeva 1000-2000 sterline a testa all’anno per sostenere i disabili, con nessun utile di ritorno. A fronte di ciò, Tredgold suggerisce l’avviamento al lavoro e l’istituzione di fattorie e colonie dove inserire i disabili. In tali istituzioni i deboli di mente non solo sarebbero felici, molto di più se in compagnia con i simili piuttosto che nel mondo esterno, ma contribuirebbero anche al proprio sostentamento. La società avrebbe perciò salvato una parte del costo di mantenimento e, più importante, sarebbe al sicuro dal pericolo della loro propagazione. Siamo nel 1909, quasi trenta anni prima delle leggi razziali e dell’Aktion T4.
Gabriella La Rovere