Un disabile psichico adulto e “fantasma” è il perno della strage di Rivarolo Canavese
Non immaginavo un buco nero più concentrato di quello in cui precipita un genitore anziano quando uccide il figlio disabile psichico. Nella strage di Rivarolo Canavese si sprofonda ben oltre assai quel buio. In uno stesso abisso di sangue e morte un viluppo di ben quattro vittime, oltre chi ha pensato di “giustiziarle”, provando poi ad annientarsi sparandosi in faccia.
Non c’è solo il salto nell’abisso, lucido e disperato, di chi si sente allo stremo delle proprie energie nell’accudimento del più frangibile dei suoi amori, cancellando dal mondo tutto ciò che fu famiglia. L’incubo di saperlo scaraventato fuori da quell’ultimo fortino, di ossa stanche e carne disfatta, sarebbe peggiore della morte stessa.
Tra i caduti questa volta si contano due vicini di appartamento ultrasettantenni, anche loro ammazzati a freddo dalla stessa pistola del pensionato di 83 anni che prima ha sterminato la moglie e l’uomo, restato bambino, che aveva con lei generato. Immediatamente dopo il marito e la moglie del piano di sopra, attirandoli in casa sua, una dopo l’altro, come un killer di professione.
Nell’incredibile irrazionalità di tutto questo un punto solo è certo: tutta la tragedia gira comunque e ancora una volta attorno a una persona disabile adulta, il cui destino era in mano di genitori anziani, senza una presa in carico, con competenze di ben più ampio perimetro che un banale supporto sanitario.
I due vicini erano brave persone, tanto da essersi gradualmente immedesimati nel compito di un gratuito e gradito sostegno di quel ragazzo cinquantenne, che portavano a spasso e cui spesso si dedicavano, con quell’affetto semplice di chi è abituato a occuparsi degli altri, senza enfasi ma come piccola e trascurabile costante del proprio quotidiano.
Tutto forse avrebbe retto se a casa dei vicini non fosse arrivata la gioia di una nipotina; così i due badanti hanno mollato, per entrare, come naturale, nel ruolo di nonni. Le abitudini in questi casi non si interrompono senza che si creino scompensi. Nella perdita di senso, a cui induce l’afflizione costante, può anche accadere che un atto di gentilezza sia frainteso come un diritto inderogabile.
Nulla giustifica una strage premeditata, quindi eseguita freddamente e con metodo.
Resta implacabile e atroce un pensiero, da cui è difficile liberarsi: perché manca una rete pubblica “strutturata e specifica” che assicuri inclusione sociale ai disabili psichici? È noto che di loro si prende cura chi può, questo però potrebbe anche provocare tragedie.
Avverrà fino che non esisterà uno pezzo di Stato capace di mettere in atto strumenti razionali per occuparsi dei suoi cittadini con un cervello fuori standard, permettendo loro una reale socialità e senza pensarli come destinati ad essere, prima o poi, rinchiusi da qualche parte. (pubb. su LA STAMPA 12 aprile 2021)
Aggiornamento 14 aprile
Il giudice di Ivrea, Ombretta Vanini, ha convalidato questa mattina l’arresto di Renzo Tarabella, il pensionato 83enne, ora ricoverato al Giovanni Bosco, che sabato sera, a colpi di pistola, ha ucciso quattro persone in un alloggio di Rivarolo Canavese: la moglie, il figlio disabile e i vicini di casa proprietari dell’abitazione. Dovrà rispondere di omicidio plurimo aggravato. La procura di Ivrea, al momento, non ha contestato l’aggravante della premeditazione. I due biglietti di Tarabella, ritrovati dai carabinieri sul tavolo della cucina, sarebbero stati scritti dopo la strage. «I due hanno insultato mio figlio già morto. È giusto che paghino per quello che hanno detto. Ho dovuto farlo grazie a questa società», ha scritto Tarabella riferendosi ai padroni di casa, freddati con un colpo di pistola alla testa. Biglietti che hanno confermato il disagio dell’uomo ma che, di fatto, non rappresentano un vero e proprio movente.