Funamboli dell’ottimismo: gli autism managers. Ci scrive la mamma di Alice
Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo.
Mi chiamo Elena Zuffellato, e sono la mamma di Alice, ragazzina autistica quindicenne, e oramai un po’ autistica pure io. Seguo le battaglie di Gianluca sui social, su Twitter– non da ultima quella per la vaccinazione anti-Covid – e cerco nel mio piccolo di diffondere. Qualche giorno fa degli amici mi hanno girato il discorso di Elio a Propaganda Live: mi ha molto colpito. Ho scritto due righe di getto: ve le propongo, se a vostro parere possono essere ospitate sul blog “per noi autistici”, mi farebbe molto piacere.
FUNAMBOLI DELL’ OTTIMISMO: GLI AUTISM MANAGERS
Autism manager: mi piace, bravo Elio! Hai proprio indovinato: è proprio una cosa da gestire, giorno per giorno, e se non ce l’hai in casa non capisci cosa vuol dire adattarsi ai continui cambiamenti dell’autismo. E sai un’altra cosa? hai indovinato anche che non interessa a nessuno saperlo. Perché è complicato, scomodo, e infondo pure abbastanza inutile capire come funzionano questi autistici, poco integrabili nelle meccaniche della nostra comunicazione.
Gli esempi funzionano meglio. Mia figlia Alice è autistica, ora ha 15 anni. La sua mente è continuamente disturbata da pensieri, che in modo random e repentino possono diventare ossessivi, e scatenare comportamenti non prevedibili, che indifferentemente rientrano, oppure sfociano in gesti violenti (scagliare oggetti, picchiare, mordere) o autolesionisti. Non c’è una regola: ci sono momenti in cui è di buon umore e tutto va bene, altri in cui si sveglia ripetendo la stessa frase ossessiva con cui si è addormentata la sera prima, e nel giro di pochi minuti esplode. E noi ci si adatta, e si cerca di smussare gli angoli.
Il motore principale che genera i suoi comportamenti è l’ansia. Indiscriminata: la provocano pensieri, domande, richieste, semplici affermazioni, ma anche sollecitazioni sensoriali, sorrisi, suoni, immagini, tocchi. Oppure ricordi, pensieri assolutamente non intercettabili dall’interlocutore esterno. L’ansia la pervade anche fisicamente, ed è palpabile perché dà origine a saltelli, bisbigli che diventano grida, ripetizioni ecolaliche, cantilene, piagnucolii, che posso diventare scoppi di pianto angoscioso in pochi secondi. Questa ansia viene trasmessa anche all’interlocutore, che il più delle volte non ne comprende le ragioni e non ne sa prevedere le reazioni. Quindi inevitabilmente sbaglia il suo comportamento di risposta, perché inizia a fare domande, troppe – che finiscono per aumentare il suo livello di ansia – oppure perché cerca di ignorarla, provocandole ripetizioni ossessive e frustrazioni. E noi si cerca di creare un mondo sereno e privo di stress intorno a lei.
È evidente a chi la osservi che Alice comprende di non essere in grado di controllare e gestire le proprie reazioni ed emozioni, di essere in balia di sé stessa, e di provare conseguente mortificazione per i propri comportamenti. Il suo livello di autostima è ai minimi termini. Tuttavia non riesce ad avere empatia per gli altri, troppo presa da sé stessa, prima di tutto dal proprio pensiero instancabile, e poi dalle proprie pulsioni fisiche e percezioni sensoriali. Sicuramente prova – in modo confuso e a lei non chiaro – delle pulsioni sessuali, ma non le riesce ancora ad esprimere. E noi si cerca di dare conforto e rassicurazione.
Ama la socialità, essere circondata da altre persone, ma il più delle volte non ne comprende i gesti, le convenzioni sociali, le emozioni, tende a fraintendere i comportamenti altrui. Inevitabilmente viene ignorata ed isolata – anche perché non è in grado di sostenere una gran conversazione, al di là del saluto e poco più – e ciò le provoca frustrazione. Cuce addosso ad ogni persona che incontra la sua simpatia una frase, una parola, un gesto che magari in occasione del primo incontro era stata detta, e secondo lei aveva funzionato, anche senza che a quella frase o parola fosse data una particolare importanza. Ma a lei in qualche modo è rimasta impressa. Perciò la ripete ogni volta che rivede quella persona, che sia dopo due giorni o dopo due anni, pensando che il meccanismo del loro primo incontro possa ripetersi sempre uguale a sé stesso – se aveva funzionato la prima volta, funzionerà sempre. L’altra persona però generalmente non ricorda quel riferimento, e reputa senza senso l’input che lei gli manda. Perciò il meccanismo che Alice crede secondo logica si inneschi, non parte, anzi scatena una serie di incomprensioni reciproche. E lei va in ansia e frustrazione, e dà in escandescenze. E noi si cerca di spiegare agli altri che, vabbè, ma comunque….
E una questione di primi piani: quando io guardo la fotografia di noi due davanti ad un paesaggio di montagna, la mia attenzione è catturata dai nostri volti, e poi dalla visione d’insieme del paesaggio. Ma Alice si sofferma sulla tapparella verde sbiadita della casetta nell’angolo in basso a sinistra, per me senza alcun significato, né emotivo né paesaggistico, né estetico. Senza importanza, e tipicamente non prioritario nella mia visione. Eppure per lei è quello l’elemento saliente di tutta l’immagine, e quello si fisserà nella sua prodigiosa memoria. Quello lei richiamerà negli anni a venire come simbolo della gita in montagna. Ma senza avermelo fatto capire, io non saprò che per lei la gita in montagna era una tapparella verde. E così noi si abbozza.
Ultimamente a casa dà il peggio di sé, sarà l’adolescenza. Cerca la compagnia della mamma ma in sua presenza prova una sorta di incessante sollecitazione a dover parlare, fare, muoversi. Non è in grado di ignorarla, la cerca, ma non riesce a tranquillizzarsi in sua presenza. A volte sembra che parlare con la mamma sia un tentativo di parlare con sé stessa, per chiarirsi. Però alle domande e alle frasi che ripete, lei pretende una risposta, un dialogo fatto sempre della stessa risposta, che deve essere formulata con lo stesso tono di voce. Anche qui la reazione è random: a volte sembra che la risposta le vada bene, e passa ad altro. A volte invece c’è una lieve sfumatura che rende quel dialogo imperfetto, sbagliato: inizia quindi la ripetizione ossessiva, che sfocia quasi sempre in una crisi. E noi si cerca di spostare l’attenzione verso un altro pensiero, si cerca di capire.
Ci dicono che l’adolescenza è il periodo peggiore, che migliorerà, e noi che siamo dei funamboli dell’ottimismo, lo crediamo fermamente. Come potremmo diversamente? Sono sicura – tutti noi lo siamo! – che il suo mondo interiore sia ricco e puro, che la sua mente sappia creare immagini e pensieri meravigliosi: credo che i momenti di felicità che lei prova per piccole cose siano così forti e profondi da fare invidia. Come pure il piacere della compagnia di sé stessa, quando ride di gusto.
Ma a chi interessa tutto questo, giusto Elio?
Elena Zuffellato
NOI OTTIMISTI? O SOLO CERVELLI RIBELLI…
Questa foto mi fa particolarmente ridere e quindi la metto a simbolo della follia che può anche sembrare ottimismo. Me la mandò Elio qualche anno fa, era un’estate in cui aveva, per caso, incrociato Tommy all’Asinara. Entrambi fanno la stessa faccia, non so chi sia il prototipo e chi l’imitatore.
Qualche giorno fa questa foto è stata pubblicata da un giornale con la didascalia “Elio con suo figlio”. Mi fece ancora sorridere, anche se era la cialtronata giornalistica di chi non aveva messo cura nella ricerca di immagini. Scrissi comunque a Elio: “Ciao sto mantenendo tuo figlio da più di venti anni, ora ti mando il conto!” (GN)