Perché non togliete il nome di”Tommy” da questo oggetto con cui nulla abbiamo a che fare?
Eccomi di nuovo costretto a dover specificare che con quell’attrezzo che è commercializzato come “Dissuasore Tommy” non ho nulla a che fare, tanto meno ne ha a che fare il mio figliolo autistico. Scrissi già tre anni fa che ero stanco di dover continuamente rispondere a persone che con me si lamentavano perché quella scatola non funzionava adeguatamente, almeno come salvaguardia alle occupazioni improprie dello stallo disabili in loro dotazione.
PER FAVORE, NON CERCATE ME PER IL DISSUASORE NEI PARCHEGGI PER DISABILI DI ROMA CHE CONTINUANO A CHIAMARE “TOMMY”.
Ripeto qui, per poco ancora solo in forma di cortese segnalazione, che mi sono veramente rotto le scatole di vedere per strada degli ammassi di rottami con il nome di mio figlio scritto sopra, di dover quindi anche subire l’ironia di chi allude a chissà quale business io sia legato per la vendita di quei dispositivi.
Ho postato ieri l’altro un video esplicativo del mio stato d’animo, dopo aver visto l’ennesimo dissuasore disastrato al centro di un parcheggio. Mi è stato subito risposto informalmente che ora quel dissuasore non si chiama più Tommy, come io chiesi a più riprese da anni. A Roma invece ancora ancora si inciampa su quei cosi morti con scritto Tommy, leggo in un articolo dal sito del Comune di Genova di ieri 22 maggio 2021 “Tommy: debutta il salva parcheggio per persone con disabilità” dove apprendo che anche a Genova sono stati installati questi apparecchi e per l’attivazione del progetto la Consulta comunale dei disabili e il Comune ha sottoscritto un protocollo d’intesa con Aci Infomobiliy spa.
Nell’articolo è spiegato che “Il sensore conosciuto come Place4Me o Tommy (quest’ultimo dal nome del figlio disabile dell’ideatore) ed è offerto da un raggruppamento costituito dalle aziende Bridge 129 srl e Renewia Spa, che si è aggiudicato la gara indetta da Aci Infomobility spa per l’assegnazione all’utilizzo del brevetto di dissuasione della sosta abusiva.” Nel sito del costruttore Place4Me è presente un articolo dove persiste l’equivoco che si chiami Tommy.
Ora posso anche soprassedere sul fatto che si svolgano gare o qualcuno abbia brevettato e ora commercializzi un prodotto nato da una mia idea del 2014, sulla quale investii molto in entusiasmo e su cui scrissi e promossi attenzione.
GLI ARTICOLI IN CUI HO PARLATO DELL’IDEA DI UN DISSUASORE
Feci parte del progetto fino alla costruzione di un prototipo sperimentale che installammo nel parcheggio riservato a mio figlio per fare delle prove, ricordo che al tempo il lavoro andava perfezionato, quello che provai era in legno compensato e infatti è marcito in poco tempo e ora non esiste più, ne conservo il telecomando per ricordo.
Quando seppi che ne sarebbe iniziato lo sfruttamento commerciale, dissi chiaramente che non non mi interessava, non era quello il mio lavoro e quel prototipo tra l’altro secondo me era ancora molto grossolano per essere proposto. Chiesi comunque di non essere più coinvolto e soprattutto che qualunque cosa ne facessero non avrebbero assolutamente dovuto più chiamarlo con il nome di mio figlio.
Quello su cui non ho più intenzione di soprassedere è proprio che venga incrementato l’equivoco che quel dissuasore abbia a che fare con me e con mio figlio Tommy. A tutti gli effetti si sta usando in maniera impropria e non autorizzata un marchio che riporta alla mia persona e al lavoro che da anni faccio in nome di mio figlio per diffondere cultura sulla neurodiversità.
Mi è stato scritto ieri che il dispositivo ora funziona correttamente e c’è tutta la documentazione a comprovarlo. Mi fa piacere, ma a non mi riguarda, spiegatelo voi a chi si lamenta, mi basta che finisca questa storia che qualcuno si rivolga a me pensando che sia di mia competenza.
Da parte mia ogni volta che vedo uno di quegli oggetti inutilizzabile all’interno di uno stallo per disabili ne soffro se penso che la fiducia riposta in quel dispositivo possa basarsi su l’immagine, oramai nota in tutto il Paese, di mio figlio Tommy, protagonista di una battaglia per uscire dall’invisibilità a cui sono destinate le persone autistiche adulte, che è stata resa pubblica attraverso due film, tre libri e una quotidiana narrazione sui social e nei media.
Non capisco quale sarebbe stato il problema a chiamare quell’attrezzo in un’altra maniera, non vorrei nemmeno pensare che chi lo commercializzi alimenti un equivoco che io non voglio più tollerare, sia chiaro che non voglio più sentire mai più vedere scritto “Tommy” sopra un dissuasore per parcheggi disabili che è distribuito o venduto, a costo di chiederne ragione ai responsabili nelle adeguate sedi in cui un cittadino ha modo di far valere il suo diritto a non essere coinvolto come “marchio di affidabilità” in operazioni con cui non ha nulla a che fare.