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L’autismo negli articoli scientifici degli anni 1990/96

Qualche giorno fa alla televisione è stato riproposto il film “Codice Mercury” del 1998, basato sul libro “Simple Simon” di Ryne Douglas Pearson, pubblicato nel 1996. L’avevo già visto e stranamente sono rimasta seduta a guardarlo una seconda volta con un’attenzione rivolta ai dialoghi e ai dettagli. Quando il bambino viene portato in ospedale, l’agente che poi se ne prenderà cura rimanendone coinvolto, ha uno scambio di informazioni con un’infermiera. Per portarlo in salvo ha dovuto lottare con il piccolo, che gli ha morso una mano e che sembra non accorgersi di ciò che gli succede intorno, dei pericoli nei quali potrebbe trovarsi. La donna gli dice che Simon non è malato ma che è autistico, una condizione più che una patologia. Queste poche battute hanno risvegliato la mia attenzione perché nel 1998 c’era ancora chi tempestava le madri di domande sul proprio rapporto affettivo con il figlio, diagnosticato come autistico, nel primo anno di vita. Inoltre la caratterizzazione del bambino era adeguata, mai sopra le righe. Questo mi ha fatto subito cercare in rete lo scrittore perché una descrizione dei comportamenti così aderente alla realtà si poteva spiegare solo perché visti e forse vissuti. Purtroppo non sono riuscita a venire a capo di nulla, né tanto meno a mettermi in contatto diretto con lui.

È indubbio che la realizzazione del film si basasse su dati scientifici dell’epoca riguardo l’autismo. E da lì è partita la mia esplorazione andando a spulciare i 1794 articoli pubblicati dal 1990 al 1996, anno di uscita del libro. Un viaggio affascinante nel quale la mia vita ha attraversato più volte la cronologia scientifica.

Un primo lavoro del 1990, pubblicato su Synapse, evidenziava l’aumento dei livelli di serotonina in un 25% di bambini e adolescenti analizzati, affetti da autismo. Questo riscontro è stato confermato e smentito numerose volte in tutti questi anni a partire dal primo articolo del 1961 dove si sottolineava l’iperserotoninemia in 6 dei 23 bambini autistici analizzati. La serotonina è coinvolta in una varietà di situazioni: l’umore, i disturbi ossessivo-compulsivi, l’apprendimento, il dolore, la percezione, il sonno e l’interazione sociale. Sono state fatte delle sperimentazioni che usavano inibitori della serotonina (fluvoxamina) con il risultato di un miglioramento degli aspetti ossessivi comportamentali in alcuni casi, ma non in tutti. La frequente incertezza nei risultati è una costante che ho trovato in questa mia piccola rassegna scientifica, spesso dovuta al fatto che i casi analizzati erano pochi e quindi non statisticamente significativi.

Altri articoli andavano a valutare la risposta al naltrexone, usato per controllare i comportamenti oppositivi, le stereotipie e per migliorare l’apprendimento. Si era visto che questi disturbi comportamentali erano associati ad un’eccessiva attività degli oppioidi endogeni e il farmaco riduceva quindi l’iperattività e l’irritabilità. Mentre in alcuni casi, i comportamenti ossessivi ed anche l’autolesionismo miglioravano con l’uso del naltrexone, in tanti altri venne riferito un preoccupante peggioramento. I risultati clinici deludenti furono sufficienti a che si abbandonasse la teoria degli oppioidi nell’autismo e dissuasero la comunità scientifica dal considerare la disfunzione nel sistema degli oppioidi come un plausibile substrato neurobiologico per l’autismo.

Un gruppo di ricercatori norvegesi andò ad indagare sull’elevata concentrazione di peptidi nelle urine di soggetti autistici arrivando proporre un dieta priva di glutine, anche questa piuttosto aleatoria che ancora trova adepti ma che non soddisfa tutti i criteri di scientificità.

Un articolo molto particolare, pubblicato nel 1992, raccontava di come la diagnosi clinica di autismo avesse avuto un grande supporto grazie all’uso degli home video che in quel tempo erano di gran moda e che permisero ai neuropsichiatri infantili di valutare il comportamento del bambino in casa e nel rapporto con gli altri.

Sempre per rimanere nelle spigolature scientifiche, due diversi ricercatori, a distanza di quattro anni l’uno dall’altro, pubblicarono un lavoro nel quale ipotizzavano una correlazione tra mese di nascita e autismo, arrivando a concludere che la neurodiversità fosse più frequente nei bambini nati a marzo e ad agosto.

Nel 1992 Temple Grandin con il lavoro “Calming effects of deep touch pressure in patients with autistic disorder, college students and animals” presentò la sua macchina degli abbracci, utile per ridurre l’ansia e l’irritabilità. L’oggetto era frutto della ricerca nata casualmente durante un soggiorno estivo da una zia che aveva una fattoria in Arizona. Oltre a scoprire di avere una empatia intuitiva verso gli animali, Temple rimase incantata da un’attrezzatura che veniva usata quando le vacche dovevano essere visitate dal veterinario. Si trattava di uno corridoio con staccionate laterali, sufficientemente stretto da consentire la progressione in avanti di un animale alla volta. Questo espediente sembrava rassicurare le bestie. Dopo averne studiato attentamente ogni particolare, lo riprodusse e lo sperimentò personalmente.

Nel periodo che ho preso in esame, la diagnosi di autismo veniva fatta a tre anni di età. Un articolo di Baron-Cohen, lo psicologo della Teoria della Mente, pubblicato su British Journal of Psychiatry, cercò di stabilire se era possibile fare diagnosi di autismo a 18 mesi. A tale scopo, bambini ad alto rischio di autismo e un gruppo di controllo furono sottoposti a diversi test che andavano a valutare: il gioco di finzione, il puntamento protodichiarativo, l’attenzione congiunta e il gioco sociale. I bambini che non avevano superato alcuni di questi test, soprattutto quello relativo al puntamento protodichiarativo, furono diagnosticati autistici a 30 mesi.

Nel 1994 lo psichiatra Michael Rutter scrisse: c’è un accordo generale sul fatto che l’autismo abbia una base organica, ma c’è meno accordo sulla frequenza con cui è associato a condizioni mediche note. L’evidenza in letteratura su questo ultimo punto viene rivista e si conclude che il tasso di condizioni mediche note nell’autismo è probabilmente di circa il 10%; tuttavia il tasso sembra più elevato nei casi di autismo con grave ritardo mentale. L’anno precedente avevo potuto confermare personalmente quanto da lui ipotizzato e iniziare uno studio approfondito delle malattie rare associate a disturbi dello spettro autistico.

Gabriella La Rovere

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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