Mel Baggs insegna l’orgoglio del proprio linguaggio autistico
I primi lavori di Leo Kanner descrivevano l’assenza del linguaggio nei bambini autistici o la sua forte riduzione associata all’uso molto particolare del pronome, sempre in terza persona, e all’ecolalia. Per molto tempo la distinzione tra autismo ad alto funzionamento e basso funzionamento affondava le radici sulla padronanza del linguaggio, ipotizzando che la sua mancanza o scarsezza fosse associata ad un esiguo mondo interiore. Tale convinzione viene completamente spazzata via dalla visione del video “In my language[1]” di Mel Baggs (1980-2020), una blogger, autistica non verbale, attivista per i diritti delle persone con neurodiversità. Era sostenitrice di una convinzione potente e cioè che tutte le persone abbiano stessi diritti e valori, a prescindere dal modo con il quale comunicano. Teneva un blog: Ballastexistence (dove ballast sta per zavorra), nome scelto provocatoriamente a sottolineare la generale convinzione che le persone con difficoltà cognitive e relazionali fossero dei mangiatori a ufo.
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La prima parte del video riproduce una situazione che molti genitori conoscono ma che analizzata obiettivamente e con l’aiuto di quanto poi spiegato da Mel, consente di comprendere meglio quello che in maniera sbrigativa viene liquidato come una stereotipia da combattere con ogni mezzo. Se ascoltassimo solamente, quella vocale modulata con intenzione verrebbe scambiata per un mantra buddista, non apparendoci così strana e patologica. Mel la definisce la sua lingua nativa, non necessariamente associata ad un significato simbolico. Insieme al variare della tonalità, ci sono i suoni prodotti dalle cose a creare una mescolanza armonica di vibrazioni che la persona con neurodiversità percepisce attraverso la pelle e l’orecchio. È uno dei tanti modi con i quali si può entrare in contatto con ciò che ci circonda e questa consapevolezza dovrebbe far rivedere l’affermazione della mancanza di comunicazione nell’autismo non verbale. Purtroppo pensiero e linguaggio vengono presi sul serio solo se si esprimono con i canoni della neurotipicità.
Loro giudicano la mia esistenza, la mia consapevolezza e la mia personalità in base a quello che è una parte piccola e limitata del mondo. Esiste un dialogo continuo con le cose che sembra strano tutte le volte che non avviene secondo le modalità standardizzate dalla società dominante. È sempre la vecchia storia delle regole, dei comportamenti e della comunicazione stabiliti da chi, forse, è numericamente superiore. Più passa il tempo e più in me diventa forte la convinzione che il genere umano sia formato da due popolazioni con linguaggi e modi di interazione propri; che dovremmo mettere in discussione alcuni assiomi ai quali ci aggrappiamo tenacemente, avere l’umiltà di ascoltare, di aprirci alla comprensione per dare valore a quanto le persone con neurodiversità comunicano, senza liquidarlo semplicisticamente come diverso..
[1] https://www.youtube.com/watch?v=5GIe1JG2Swc
Gabriella La Rovere