No al “fighettautismo” che blocca la ricerca scientifica di Baron Cohen
Più volte abbiamo qui affrontato il difficile equilibrio tra persone diversamente rappresentabili nello spettro autistico. Ai due estremi di una porzione di umanità, che potremmo definire con neuro diversità, si collocano tipologie di individui con comportamenti, abilità, capacità di gestire un’anomalia, totalmente differenti rispetto la media più frequentemente rappresentata. Chi qui scrive può portare la sua esperienza diretta: è noto che abbia un figlio con autismo così detto a basso funzionamento, che ha costante bisogno di supporto e persone abilitate che lo aiutino a rafforzare e mantenere le proprie autonomie, conquistate con fatica in tantissimo tempo. Io stesso sono stato diagnosticato autistico, su questo ho scritto un libro e me ne sono dato pace, la mia vita prosegue tranquilla e sono riuscito a fare tutto quello che mi piaceva, ho costruito, scritto, argomentato. Solo a posteriori ho dato un nome al mio disagio nel gestire relazioni e rapportarmi con il mio prossimo.
Ora sta ingenerando un fenomeno molto modaiolo che è il coming out degli autistici consapevoli. Potrei citare i soliti luoghi comuni che indicano Elon Mask, Steve Jobs, Mark Zuckerberg come esempi di autistici prodigiosi. Certo che è “figo” sentirsi parte di questa schiera di super eroi, ma non c’è solo quello. Ci sono persone che vivono nel disagio, nell’impossibilità di vivere una vita dignitosa, vittime delle superstizioni, di ciarlatani, di imbonitori. Persone che nessuno considera sin dal tempo della scuola quando un’inclusione mirata sarebbe per loro un diritto. Persone che arrivate alla maggiore età scompaiono dall’orizzonte, persone la cui unica speranza di emancipazione da un destino di reclusi è la ricerca scientifica che procede pari passo alla sensibilizzazione sociale.
In questo quadro si colloca l’assurda battaglia di talebani del fighettautismo per interrompere la ricerca scientifica di Simon Baron Cohen, uno dei più fantastici e illuminati studiosi della complessità del cervello autistico. Il mantra “L’autismo non è una malattia” l’ho spesso impugnato e non lo rinnego, in questo caso però è una posizione che sembra ispirata più a una moda culturale che a una seria riflessione sulla neurodiversità. E’ quindi sacrosanto il comunicato dell’ ANGSA che qui riporto e che fa coraggiosamente il punto su una realtà che non potrà mai essere rappresentata attraverso punti di vista parziali. (GN)
Non interrompere quello studio britannico! La ricerca scientifica è necessaria all’autismo
La brusca interruzione dello studio britannico denominato Spectrum 10K, guidato dal noto scienziato Simon Baron- Cohen dell’Università di Cambridge, dovuta all’opposizione di gruppi di persone che, auto dichiarandosi nello spettro autistico, denunciano il loro mancato coinvolgimento e l’inutilità di quella ricerca, perché a loro dire “non c’è nulla da aggiustare” in una condizione della quale andare fieri. Questa posizione ci impone alcune profonde, necessarie ed importanti riflessioni. La quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali statunitense, ha accomunato sotto lo spettro autistico persone con funzionamenti e necessità di supporto molto diversi fra loro, definendo tre scale di gravità, a cui corrispondono bisogni estremamente eterogenei, sia per tipologia di esigenze abilitative, sia per la presenza percentualmente rilevante di importanti comorbidità, anche psichiatriche.
Angsa, l’Associazione Nazionale Genitori perSone con Autismo, rappresenta genitori e famigliari che tutelano le persone con autismo, in special modo per quelle che non sono in grado di autorappresentarsi, in parte o totalmente. I gruppi di persone che hanno interrotto lo studio si presentano al contrario come orgogliosi della propria condizione, arrivando in casi estremi a definirne una pretesa superiorità rispetto al mondo dei tipici, con frequenti e polemici contributi sui media. Queste dichiarazioni appaiono ingenerose e non mostrano compassione né comprensione nei confronti di quanti (e sono la maggioranza) soffrono la condizione di autismo al punto da averne compromessa la qualità di vita, e spesso anche la salute fisica e mentale. Certamente si tratta di gruppi che non rappresentano neppure l’intera comunità delle persone con diagnosi di Asperger, la maggioranza delle quali ammette invece la necessità di qualche forma di sostegno.
Nel rispetto delle diverse opinioni, noi riteniamo che le persone che si autodefiniscono “neuropeculiari” e accomunano la loro diversità alla ricchezza della biodiversità, capaci di autorappresentarsi e molto attive, non siano le persone per cui siamo nati e necessitano in particolare del nostro impegno per la tutela dei diritti. Il nostro impegno è orientato alla ricerca di un futuro migliore per persone con peculiari difficoltà che, seppure di vario grado, non possono essere negate, né ignorate, nella predisposizione dei Servizi Socio-Sanitari di cui abbisognano.
Accanto a ciò, tuteliamo e supportiamo i bisogni di famiglie duramente provate nella loro quotidianità da una condizione che appare oggi sempre più bisognosa di ricerche per individuarne le cause, consapevoli che ciò permetterebbe probabilmente di guadagnare tempo nella definizione di sottogruppi, verso i quali indirizzare eventuali approcci abilitativi o interventi farmacologici.
È grave scegliere di interrompere questa ricerca seria, condotta da scienziati di fama mondiale, che ha come obiettivo quello di studiare i contributi genetici e ambientali all’ASD e a condizioni concomitanti come l’epilessia e i problemi di salute dell’intestino, per il remoto timore su potenziali conseguenze eugenetiche. “Se riusciamo a capire perché queste condizioni concomitanti sono più frequenti nelle persone autistiche, ciò potrebbe aprire la porta al trattamento o alla gestione di sintomi molto angoscianti”, afferma Baron-Cohen.
Testimone della sofferenza di tante famiglie, fra cui molte con più figli nello spettro, ANGSA non può che invitare a superare simili posizioni, esprimendo il proprio dissenso.