“Lo zoo di vetro” e la sorella autistica di Tennessee Williams
Nel 2012 il prof. Clay Morton pubblicò un articolo sulla rivista The Tennessee Williams Annual Review nel quale ipotizzò che la sorella del famoso drammaturgo, musa ispiratrice in almeno tre suoi lavori, fosse autistica. L’affermazione porterebbe a sottolineare quando la neurodivergenza sia un aspetto del genere umano, se non fosse che il comportamento eccentrico di Rose venne diagnosticato come schizofrenia e trattata con shock insulinici fino alla lobotomia bilaterale prefrontale, eseguita il 14 gennaio 1943, tre mesi prima che Williams scrivesse l’opera teatrale “Lo zoo di vetro”, nel quale i riferimenti alla sorella e al suo comportamento sono una testimonianza importante alla luce di quanto ora conosciamo sull’autismo. Le parole usate hanno un grande significato, al di là della connotazione stilistica, proprio perché descrivono ciò che è obiettivo e si caricano di tutto il pathos, soggettivo e oggettivo, che viene poi trasformato in prodotto artistico.
Nel 1943, anno della lobotomia di Rose, Leo Kanner aveva introdotto l’autismo come disturbo separato dalla schizofrenia, descrivendo il caso di undici bambini, due dei quali avevano già avuto una diagnosi di demenza precoce. Il quadro clinico riferito da Kanner non poteva essere attribuito ad una disgregazione della personalità psichica in quanto mancavano le allucinazioni e l’insorgenza dei disturbi comportamentali era precoce, già nell’infanzia. In quegli anni i bambini, dopo inutili tentativi terapeutici, venivano lobotomizzati, specialmente quelli che erano descritti come “viventi in un mondo di fantasia”, allocuzione simil-poetica per una diagnosi che poi non lasciava scampo.
Rose, come tutte le ragazze Asperger, aveva manifestato una certa stranezza di comportamento nell’adolescenza diventando, secondo le parole della zia Edwina Williams nel libro “Remember me to Tom”, scontrosa e ritirata, annoiata a morte e priva di interessi funzionali. Trascorreva ore mettendo a posto i suoi vestiti e giocando con il cane. Faceva collezione delle etichette dei barattoli di zuppa di pomodoro Campbell, di cui era particolarmente ghiotta tanto da rappresentare l’unica cosa che mangiava. Aveva dei comportamenti ritualistici quale quella di mettere una brocca di acqua ghiacciata fuori dalla porta prima di andare a letto, delle stereotipie verbali con la frase “tragico, solo tragico” che una volta aveva sentito dalla madre e che ripeteva ossessivamente. Stava chiusa in camera e non sempre rispondeva quando veniva chiamata. L’incapacità a comprendere l’ironia, la portava a reagire esageratamente confermando una volta di più la sua stranezza e allontanandola dai coetanei.
Un ragazzo, un certo Clark Mills da cui Williams prese spunto per il Jim O’Connor ne “Lo zoo di vetro”, descrisse il suo aspetto e comportamento: “era una ragazza molto bella, ma vestita nel più orribile abito in chiffon lungo fino alla caviglia, che sembrava datato del 1922. Veramente orribile, la ricordo in piedi nell’ombra della sala da pranzo, incapace o restia ad entrare e, come ricordo, non parlò del tutto”. Questa scena venne poi trasferita nell’opera teatrale.
La biografia della zia mette anche in evidenza altri aspetti della mente autistica che hanno impedito la socializzazione della ragazza e creato momenti di forte imbarazzo tanto da non vedere altra soluzione che la sua istituzionalizzazione. Un giorno, durante una funzione religiosa nella sua chiesa, aveva sentito il pettegolezzo di un parrocchiano che affermava che il reverendo avesse sangue ebreo. Inconsapevole del clima generale di antisemitismo che allora imperava, raccontò di questo ad un altro parrocchiano e di qui a cascata finché non arrivò alle orecchie del reverendo che la cacciò provocando in lei le tipiche reazioni esagerate di una persona autistica che non comprende a pieno il motivo del castigo.
Più importanti tra queste dichiarazioni che per Rose potevano rappresentare una forma di socializzazione, seppur sbagliata, furono le accuse di immoralità sessuale nella sua famiglia arrivando ad affermare di avances sessuali del padre nei suoi confronti. La dichiarazione venne subito classificata come delirante, nonostante l’uomo fosse definito da chi lo conosceva come violento e sessualmente promiscuo.
L’abuso sessuale su donne psichicamente fragili è sempre esistito – e continua ad esserlo – perché la diagnosi attribuisce loro l’incapacità di percepire la realtà.
La lobotomia lasciò Rose in uno stato docile, infantile, che Williams definì “tragicamente calmo”. In breve si rese conto dell’orrore che era stato perpetrato ai danni della sorella e, per gran parte della sua carriera, fu perseguitato dal senso di colpa per non aver impedito la procedura. Tutte queste emozioni vennero riversate nelle sue opere, soprattutto “Lo zoo di vetro”
(continua)
Gabriella La Rovere