La guerra di Gabriella La Rovere
So bene che parlare di guerra oggi significa soprattutto riferirsi alla tragedia che sta attraversando l’Ucraina. Non trovo però termine migliore per definire il combattere minuto per minuto che sta logorando l’amica Gabriella La Rovere. Sono di parte senza reticenza, ci conosciamo da anni, abbiamo tirato su assieme i nostri figli, lei Benedetta e noi Tommy. Ci siamo confrontati, abbiamo parlato, abbiamo passato assieme capodanni, feste di agosto, concerti, eventi. Ognuno di noi due ha sulla propria vicenda familiare scritto libri, articoli, girato in lungo e in largo per parlare a gente che ascoltava, per tentare di parlare a gente che non voleva ascoltarci. Abbiamo sperato, progettato, improvvisato. Insomma abbiamo modellato le nostre vite sui bisogni di figli sicuramente, fuori standard, anche però molto dotati: Benedetta suonava e Tommy disegnava. Anche troppo per essere contenti…Per Gabriella però la parte oscura della forza si è fatta viva prima che per me. Tutto è riassunto in quanto segue:
Lettera aperta pubblicata da LA STAMPA il 7 maggio.
Avere una figlia con una malattia rara significa convivere con un dolore sordo, costante, ed esserne anche il medico carica tutto di lacerante consapevolezza, di pesanti responsabilità.
La sclerosi tuberosa è una malattia bastarda nella quale le formazioni tumorali (di solito benigne, ma non è detto!) interessano tanti organi danneggiandone la funzione. Ed ecco perciò l’epilessia non controllata dai farmaci, il ritardo mentale, l’autismo, la lenta evoluzione verso l’insufficienza renale, il possibile interessamento polmonare, cardiaco, e così via.
Mia figlia ha anche un aneurisma del sifone carotideo sinistro, una complicanza ancora più rara all’interno della sua straziante rarità, che le conferisce l’onore (!) di essere il 19esimo caso al mondo. La scelta di cosa fare è spettata a me, e mentre la parte materna urlava il suo dolore contro il Cielo, quella professionale valutava i pro e i contro di un intervento chirurgico rischioso che poteva portare a conseguenze ancora più gravi, considerava la paziente nella sua particolare unicità e optava verso una vita piena, degna di essere vissuta per tutto il tempo che le sarebbe stato concesso.
Pensavo che tutto questo fosse più che sufficiente, invece la vita mi ha posto davanti un altro mostro contro il quale è difficile, quasi impossibile combattere: la schizofrenia e l’evoluzione psicotica grave che trasforma mia figlia in un essere rabbioso, con occhi e voce diversi, e che nel novembre 2019 ha tentato più volte di aggredirmi, fino a riuscirci. La nostra vita è cambiata, i momenti di serenità sono pochissimi perché vivo nella paura della sua perdita di controllo ad ogni minimo imprevisto. L’interessamento ingravescente cerebrale l’ha resa molto incerta nel camminare e a tutt’oggi non sono sicura che non possa perdere la coordinazione motoria portandola all’uso della sedia a rotelle.
È indubbio che le nostre esistenze debbano dividersi ed è qui che inizia un’altra brutta storia, fatta di omissioni e “leggerezze”. Attualmente, quando una persona autistica diventa maggiorenne, passa in carico al Centro di Salute Mentale (CSM) del proprio territorio che, il più delle volte, non ha la giusta competenza per affrontarne il complesso mondo, riducendo il tutto a carichi di farmaci, spesso in grado di innescare effetti paradossi, cioè di agitare ancora di più.
Nonostante ripetute segnalazioni – le mie e quelle di due operatrici di una cooperativa che collabora con il distretto sanitario, una delle quali aggredita fisicamente – da più di un anno il CSM è inadempiente nell’autorizzare l’inserimento di mia figlia in una residenza sanitaria umbra (per altro pronta ad accoglierla), perché questo è il luogo idoneo per una persona con sclerosi tuberosa e aneurisma cerebrale, che necessita di supervisione medica costante, quale quella che io ho fatto in questi 30 anni di vita. È impensabile che si possa preferire una residenza socio-assistenziale, per altro suggerita da assistenti sociali, perché costa di meno. Un tale assioma smantella ogni principio medico etico e ogni principio costituzionale. Una sanità che, in condizioni di innegabile gravità clinica, opta per il risparmio deve prendersi tutte le responsabilità morali, sociali e penali del caso.
Dott.ssa Gabriella La Rovere
Il giorno seguente 8 maggio, sempre LA STAMPA ha pubblicato in prima pagina questo mio editoriale.
Non può oggi esserci festa per una mamma che deve difendersi da una figlia con disabilità mentale, a cui ha dedicato la vita intera. Gabriella La Rovere ha scritto ieri a “La Stampa” perché nessun interlocutore istituzionale sembra volere farsi carico del suo problema. Benedetta è la sua ragazza, ora per l’aggravarsi del suo problema clinico è diventata molto aggressiva. La madre è medico e sa che è qualcosa di estraneo che cresce ovunque nel suo cervello a determinare quelle violente crisi oppositive. La soluzione migliore sarebbe portarla in un ambiente protetto, che lei conosce e in cui ci sia il sostegno clinico di cui ha bisogno. La struttura esiste, è una residenza sanitaria convenzionata, si trova vicino casa e Benedetta ci sta volentieri. Il problema parrebbe sia che l’Asl di Perugia giudica quel tipo di ricovero troppo oneroso e preferirebbe dirottarla in una struttura socio assistenziale, non certo attrezzata per lo specifico bisogno di Benedetta.
Scrivo “sembra” perché non ci sono prese di posizione ufficiali, tutto tace per Gabriella. E’ la solita ammuina che divora il tempo e intanto la madre comincia ad avere paura. Vive in una casa isolata in campagna, è immersa ogni ora nella pena per una figlia grande e grossa che non la riconosce e teme che, da un momento all’altro, possa accadere una tragedia.
Giorni fa, in via indiretta, le è stato consigliato di chiamare i Carabinieri e denunciare la sua ragazza per aggressione; un’altra madre già passata per lo stesso calvario le ha detto che è l’unica maniera per garantirsi d’ufficio l’accoglienza nella struttura adeguata. A Gabriella questa soluzione fa orrore, la figlia al solo vedere una divisa entra nel panico. Non è umano che sia necessario farla arrestare perché abbia riconosciuto il diritto a un’assistenza adeguata.
Benedetta è nata trenta anni fa con la sclerosi tuberosa, una brutta malattia degenerativa di cui l’autismo è solo un effetto secondario. Per Gabriella si prospettava allora una brillante carriera da chirurgo e il suo campo di ricerca era la cardiologia. Cambiò specializzazione in medicina estetica, aveva previsto che così avrebbe aiutato di più quella bambina che portava in viso già i segni della sua malattia.
Ho conosciuto e frequentato Gabriella negli ultimi dieci anni, ci siamo sostenuti a vicenda nella gestione di figli con cervelli ribelli. L’ho vista inventarsi ogni giorno la vita con quella figlia sempre attaccata addosso. Benedetta ha avuto anche una fase geniale, parlava correntemente inglese e francese, cantava e soprattutto aveva un futuro come percussionista. Per anni Gabriella l’ha portata in giro per concerti, trovando anche il tempo di scrivere articoli e libri sulla neurodiversità di cui era diventata esperta. Ricordo che per superare il periodo difficilissimo delle turbe adolescenziali di quella ragazza, che non accettava la sua diversità e avrebbe voluto un fidanzato come tutte le altre, Gabriella si era inventata Harry Potter come amico di penna, a cui Benedetta scriveva lunghe lettere in inglese ogni giorno. A quelle lettere per anni la madre rispondeva restando alzata di notte, così per voce di Harry Potter le dava tutte le istruzioni che, in quella fase della crescita, una madre normalmente darebbe di persona alla figliola.
Ora Gabriella parrebbe essere giunta all’epilogo della sua carriera di mamma, anche di medico con un’unica paziente che è sua figlia. Vive asserragliata per difendersi dalla persona a cui ha sempre dato amore e dedizione assoluti.
Ancora una volta non trovo nessuna giustificazione per l’ignoranza istituzionale nell’affrontare l’indicibile realtà dell’infermità mentale. Non riesco a immaginare per una madre angoscia peggiore che trovarsi inerme di fronte l’incolpevole violenza di un figlio disabile psichico, in più subendo l’ignavia di chi dovrebbe tutelare la salute di entrambi.
Lo stesso 8 maggio ho dedicato l’intera puntata della mia trasmissione MELOG a Radio24 alla testimonianza di Gabriella:
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