Da chi farsi misurare le proprie vergogne?
Il 23 giugno le agenzie hanno riportato la notizia di un questionario che veniva somministrato alle famiglie di disabili, era funzionale all’elargizione del contributo regionale per i caregiver. Il questionario purtroppo era arrivato assieme alla notizia che il contributo era stato dimezzato. La sera in cui fui chiamato a scriverne per il mio giornale sembrava che l’iniziativa fosse limitata al comune di Nettuno, da dove era partita la segnalazione, poi il giorno dopo fu chiaro che in molte altre Regioni era stata adottata la stessa prassi, qualcuno lo aveva già scritto un mese prima ma era sfuggito a tutti, può capitare.
La sera stessa in cui scrissi quel pezzo avevo interpellato uno degli psichiatri che si occupano di autismo che più stimo, come sempre faccio quando lambisco temi scientifici. Tra l’altro quel medico già era stato interpellato da un tg su quella questione. Mi spiegò che si trattava di una versione arrangiata di un questionario già in uso nella comunità scientifica, che assolutamente però non era opportuno presentare così brutalmente alle famiglie, che se lo sono viste arrivare a casa, con l’impressione che l’erogazione futura del contributo (già dimezzato) potesse dipendere dalle loro risposte.
Chi fosse interessato alla fonte eccola: CAREGIVER BURDEN INVENTORY (CBI).
Naturalmente il mio pezzo ha sollevato polemiche di ogni tipo, qualcuno ha voluto vederlo come il tentativo pretestuoso di una battaglia politica verso alcune amministrazioni. Altri, pur senza nominarmi, mi hanno appiccicato addosso l’etichetta di disinformato e spocchioso perché ho dato la paternità di tutto a un oscuro funzionario comunale, quando sarebbe bastato cercare in rete per sapere che non c’era nulla di anomalo in quel questionario. Secondo me invece resta un’anomalia l’invio fuori di un contesto clinico e la somministrazione non gestita da personale specialistico.
Ognuno la pensi come crede, chiunque abbia in carico un familiare fragile ha il diritto a gestire come vuole la sua sensibilità. Io resto dell’idea che si sia trattato di una sciatteria istituzionale che mi mette solo tristezza e mi fa spaventare su quanto si pensi di risolvere in maniera sbrigativa il problema che più affligge me e tanti come me.
In ogni caso perché chi vuole possa maturare la sua opinione in proposito, riporto integralmente il pezzo pubblicato da LA STAMPA del 24 giugno.
VUI SAPERE QUANTO MI VERGOGNO DI MIO FIGLIO?
Sfido chiunque ad avere il coraggio di chiedermi quanto io possa vergognarmi di mio figlio disabile. Non risponderei insultando, proverei solo un’infinita pena per quella povera persona che qualcuno avrà nutrito con i liquami della più bigotta ignoranza.
Alludo a quel funzionario del Comune di Nettuno che ha ideato il modulo che, famiglie come la mia, dovrebbero compilare per ottenere fondi della Regione Lazio. Le domande per avere quei quattro soldi, che sembrerebbero elargiti come premio alla virtù, hanno il sentore dell’ ”atodafè” dei tribunali dell’Inquisizione.
“Da zero a quattro quanto ti vergogni del tuo familiare? Quanto risentimento provi nei suoi confronti? Quanto non ti senti a tuo agio quanto hai amici in casa?”.E’ forse un sistema per sondare la sincera e schietta vocazione dei genitori a sostenere quel macigno che sono costretti a portare sulle spalle?
E’ necessario un interrogatorio così insulso per dare qualche spicciolo a persone che si sobbarcano oneri uno Stato civile dovrebbe fare suoi?
La piccineria di chi ha ideato il questionario non arriva a capire che, se io provo vergogna per un figlio fuori standard, non è perché sia un meschino genitore. La colpa è piuttosto nell’arretratezza di chi mi circonda, che non ha strumenti culturali sufficienti per elaborare lo stigma arcaico e putrescente verso gli umani “imperfetti”. Educare i cittadini a non far sentire l’imbarazzo di un figlio disabile è compito delle istituzioni, della scuola, dei servizi sociali, di chi registra e sostiene il disagio familiare. In pratica le stesse persone che a Nettuno si rifanno al più detestabile e ammuffito retaggio di carità pelosa, per cui mi danno la scodella di zuppa se confesso le mie colpe e recito l’atto di dolore.
Scherziamo? E’ denaro pubblico e non si tratta di un regalo, sono le briciole di quello che dovrebbe essere riconosciuto a chi si fa carico delle inadeguatezze del servizio pubblico, dove ancora prevale un concetto stantio di gestione della fragilità, che sembra far tutto per incentivare lo stoccaggio massivo in strutture sontuosamente retribuite.
Voglio rispondere di persona a quel sondaggio, mettendomi nei panni dei tanti genitori di Nettuno che hanno dovuto subire questa ennesima mortificazione. Si mi sono vergognato di mio figlio, tantissimo e per tantissimo tempo. Da zero a quattro mi sono vergognato a livello dieci. Mi sono vergognato quando i compagni di classe facevano le feste e non lo invitavano, quando gli altri genitori si lamentavano con gli insegnanti perché strillava in classe. Mi sono vergognato quando dovevo certificare ogni anno che non fosse stato “miracolato”, mi sono vergognato quando mi sono trovato solo con lui mentre per i suoi coetanei sia aprivano le porte alla vita adulta.
Soprattutto ho provato vergogna quando, pochi giorni fa, è venuta a casa mia l’assistente sociale farci firmare un foglio. Si comunicava che il contributo per il caregiver alla madre era stato di colpo dimezzato. Questo, per inciso, non è avvenuto solo nel Lazio ma anche in altre regioni d’Italia.
Vorrei però dire una cosa al gran penitenziere del Comune di Nettuno, l’arbitro delle nostre vergogne e il giudice della nostra accettazione della “prova” di essere genitori colpiti dalla sfiga.
Se potessi tornare indietro di venticinque anni, e mi fosse dato di scegliere, avrei detto no grazie, preferisco un figlio che non debba dipendere da me come un bebè, anche se con barba e baffi.
Si ma visto che il figlio mi è venuto così e sono felice di tenermelo con me, dopo le vergogne che ho confessato e di cui non sento alcun pentimento, aggiungo che per suo merito ho anche maturato una spudoratezza che mi fa persino paura. Assieme a lui mi sento fortificato di un’impudicizia estrema, che tra le sue scartoffie non sarà consentito nemmeno d’immaginare. Mi sento così scostumato quando con orgoglio me lo porto ovunque che, se la poca vergogna veramente avesse un prezzo, lei dovrebbe coprirci d’oro.