Il dolore di una “vecchia” caregiver
Riceviamo e pubblichiamo l’ultima amara riflessione di Gabriella La Rovere. ( leggi: LA GUERRA DI GABRIELLA LA ROVERE) L’amica che da anni scrive qui per noi la sua vita con la figlia Benedetta, le sue riflessioni, le sue scoperte nella storia remota della scienza della mente. Abbiamo sostenuto come potevamo la battaglia di Gabriella per assicurare alla figlia Benedetta un’esistenza il più possibile inclusiva e dignitosa. Nulla si era mosso, anche dopo che si erano sollevate molte altre voci a suo sostegno, come quella del collega illustre Gian Antonio Stella che su di lei ha scritto, come il Presidente della Fish Vincenzo Falabella e molti altri soggetti del mondo della disabilità che avevano preso a cuore il suo caso. Tanto che Gabriella è stata costretta a fare ricorso presso il Tribunale che alla fine le ha dato ragione. Gabriella ci scrive che Benedetta è entrata al Serafico, la struttura attrezzata per i suoi bisogni, è stata accolta con grandi festeggiamenti dai suoi amici. Quando Gabriella è andata alla sua residenza per salutarla, aveva gli occhi che le brillavano per la gioia. La Asl che si era opposta ora ha autorizzato il suo soggiorno sin quella struttura solo fino 31 ottobre, poi si vedrà…. La cosa è assurda perché in due mesi la ragazza non può aver raggiunto alcun obiettivo fissato. Tra l’altro hanno dato l’autorizzazione senza aver prodotto un progetto di vita, così come dovrebbe essere ed è in ogni regione. Quelle che seguono sono le conclusioni di Gabriella:
Quando si parla di difficoltà che una famiglia con figlio autistico si trova ad affrontare, si è soliti mettere al primo posto gli anni della scuola, soprattutto il passaggio dalle elementari alle medie quando il bambino è più spesso abbandonato a se stesso, privo di un aiuto qualificato, sia per mancanza di ore del cosiddetto sostegno, che di docenti qualificati, e tutto quello che aveva appreso grazie all’azione sinergica delle maestre viene spazzato via. Ne sono espressione l’opposizione che il bambino mette in atto quando deve andare a scuola, la progressiva involuzione nella grafia e nell’uso dello spazio bianco del quaderno.
Ai tempi della scuola di Benedetta ho denunciato la negligenza di tutto il corpo docente, a partire dalla preside (non ero stata avvertita, né a voce né per scritto dell’uscita anticipata da scuola e quindi avevo trovato Benedetta che vagava sul marciapiede da un’ora) e poi il bullismo politically correct di un istituto privato al quale l’avevo iscritta nella speranza di una maggiore attenzione.
In questi anni sono state sfruttate le straordinarie abilità di Benedetta nel campo della musica, la sua eccezionale capacità di imparare le lingue straniere nell’ottica di crearle uno spazio di soddisfazione personale e di inclusione sociale.
Quanto progettato ha dovuto poi fare i conti con l’aggravamento della sua malattia di base e con l’insorgenza di complicanze ancora più rare. È in questa fase della vita che, come caregiver, mi trovo ad affrontare la battaglia più dura: con le istituzioni e con me stessa.
Quella con la Asl è momentaneamente sospesa. Ho dovuto fare ricorso al giudice ottenendo un provvedimento urgente a che Benedetta fosse immediatamente inserita nella struttura socio-sanitaria. Dall’emissione della sentenza sono dovuti passare nove giorni, invece delle canoniche 72 ore prima di aver un’autorizzazione, valida però fino al 31 ottobre, come se due mesi per la Asl possano essere sufficienti a completare un progetto abilitativo di qualsiasi genere.
Quello che ci è capitato ha messo in evidenza una serie di criticità. La più importante riguarda i servizi territoriali di salute mentale che non sono preparati ad accogliere l’adulto con neurodiversità. L’aumento delle diagnosi di autismo che si è avuto a partire dagli anni 90, ha prodotto un pari incremento di adulti che non possono essere trattati come un paziente psicotico, ossessivo-compulsivo. I farmaci usati di routine in psichiatria non sempre hanno l’effetto desiderato se non si lavora sulla relazione, sul linguaggio da usare, sulle modalità comunicative. La mancata formazione in questo ambito si trasmette ad ampio raggio interessando i servizi che operano nel sociale, che sono pochi, non adeguatamente diversificati e con personale che pensa che il metodo Aba sia la panacea di tutti i cattivi comportamenti.
Come madre ho dovuto rivedere le mie convinzioni, guardare con obiettività la realtà, accettare la mia stanchezza psichica, l’ inaridimento pedagogico ed avviarmi con lei verso il bivio dove le nostre strade devono dividersi. Ho vissuto uno sdoppiamento schizofrenico emotivo, dove alla madre disperata, straziata nell’anima, si è sostituito il medico che deve comunque scegliere la migliore soluzione per la vita del paziente.
Non è semplice lasciare andare, indirizzare i nostri passi su sentieri vicini, ma diversi. Da tempo Benedetta ha compreso tutto questo, ne ha sofferto e lo ha elaborato nella maniera più straordinaria possibile fidanzandosi con un ragazzo nella struttura che già l’aveva accolta per soli 30 giorni. Vedere la gioia nei suoi occhi quando stamani ha rivisto i suoi amici e ha potuto riabbracciare il fidanzato, è stata la panacea di ogni mio tormento. Adesso, dopo 30 anni devo imparare a vivere senza orari, senza stare attenta alle cose da dire, pronta a rispondere a domande reiterate all’infinito, rapida a trovare la scappatoia a situazioni problematiche. Non sarà facile ma credo di potercela fare.
Gabriella La Rovere