Per vincere ci vogliono i leoni?
All’ufficiale Carabiniere Antonino Briguglio, detto Nino, mi piacerebbe poter domandare come si faccia ad allevare un figlio leone. È solo per saperlo, sono curioso, dal momento che in lui alberga la granitica certezza che un ragazzino di 13 anni che si suicida, perché distrutto dalla violenza lucida e continua di un manipolo di giovani criminali, abbia la colpa di essere stato educato dai suoi genitori a fare il coniglio.
Di sicuro lui sarà un allevatore di leoni provetto, dal momento che è il coordinatore delle attività sportive dei futuri ufficiali dell’Arma. Immagino che per i conigli tra i suoi allevi non ci sia posto.
Ci può anche stare, potrei però non dovere arrivare alla conclusione che chi non se la senta di affrontare il gruppo di bulli che lo martirizza con la Katana di Kill Bill, magari non ha proprio la vocazione di fare il difensore della legge. Viene da pensare piuttosto cosa dovrebbero aspettarsi le innumerevoli vittime di prepotenti, già silenti e spaventate? Nel caso prendessero quel poco coraggio residuo decidessero di rivolgersi ai Carabinieri? Magari si sentirebbero dire da chi è stato formato con il metodo Briguglio che è colpa sua, perché è un coniglio.
Certo ora scatterà l’onda del “dagli al buonista”, più o meno la stessa che gridò al vilipendio delle Forze Armate quando qualcuno provò a fare una riflessione su quanto fosse lecito per allegri portatori di fiasco, convenuti a un raduno di ex Alpini, trattare le donne orde di allupati (lupi o leoni sempre fiere sono, nessuno si offenda!).
Prevedo ora un nuovo scatenarsi del fior fiore dei teorici del necessario ritorno alla maschia rudezza, coloro che chiusero quella vicenda con la sommaria sentenza che, alla fine, nessuna di quelle donne ha denunciato, era solo propaganda femminista, o il solito antimilitarismo dei comunisti con il Rolex.
Premesso che non sono mai stato comunista, nemmeno di sinistra. L’occhio di tigre mi fa pena come il figlio leone. Mai ho posseduto un Rolex, anzi non porto l’orologio da anni. Vorrei solo aggiungere, forse sorprendendo chi s’aspetta il j’accuse generico all’Arma, che non credo, anzi sono strasicuro, che il teorema Briguglio appartenga nemmeno da lontano ai protocolli di chi addestra i futuri ufficiali.
Questo mio convincimento però porta con sé una conclusione assai più grave.
L’idea belluina e arcaica della giustificazione di chi soverchia, adducendo la colpa di un comportamento passivo della vittima, fa parte probabilmente di una parte retrograda del nostro patrimonio genetico. Con lo sforzo costante di civilizzarsi, molti di noi sono riusciti a relegarlo in un luogo recondito e inaccessibile del proprio pensare e interagire sociale.
Ci siamo civilizzati grazie alle analisi critiche della storia passata che leggevamo, la cultura a cui si conformavano le persone che scrivevano in libri e giornali, quelle che sedevano nelle aule del Parlamento, quelle che occupavano posti di rilievo nel pantheon delle celebrità.
Ci saranno stati sicuramente tra loro farabutti, ipocriti, millantatori, disonesti; è innegabile.
È altrettanto certo però che, almeno negli ultimi decenni, fossero state messe rigorosamente al bando le parole e i concetti che giudicavano un valore l’stinto predatorio, la violenza del forte sul debole, il vituperio di ogni fragilità intesa come attentato alla stirpe.
Quello che ora preoccupa è invece il consenso, diffuso e fomentato, che sembrerebbe premiare il recupero di una virile postura di rivolta contro il mondo moderno.
È proprio in questa ubriacatura generale di una vittoria imminente della stirpe dei forti, puri e impavidi, che Antonino Briguglio ha pubblicamente osato scrivere quello che pensava. Il suo è stato il segnale che è già pronto a schierarsi a proteggere il credo di chi salirà sui carri del trionfo.
Vorrei sbagliarmi, temo però che dopo di lui saranno in molti a dare la colpa del tramonto dell’Occidente agli “psicoterapeutici che sproloquiano in tv”, per poter finalmente abbandonare ogni scrupolo e gridare al mondo intero che “Per vincere ci vogliono i leoni…”
Si informassero però quanto fu funesto cantarlo in passato, magari inventerebbero nuove metafore per il marciare pregustando l’ebrezza di un nemico già sbaragliato.
( da LA STAMPA del 6 settembre 2022)