Perché non si ammette una riflessione sul farsi a pezzi per un figlio?
Giorni fa il mio giornale LA STAMPA ha pubblicato un mio commento personale su una notizia che ovunque è uscita unicamente per il suo valore scientifico, o per raccontare l’eccezionalità dell’intervento di espianto di polmone da una persona viva. Io c’ho visto qualcosa di più riguardo all’essere padri, anche nell’accezione di sentirsi carne a disposizione del frutto della propria carne. Una visione personale, che prende unicamente spunto dall’episodio, che riflette sul significato profondo dell’immedesimarsi in questo atto ma soprattutto nel suo significato sottile.
Non mi meraviglia certo la reazione di quanti leggendo solo un titolo e un estratto del pezzo su Instagram hanno dedotto nell’ordine: 1) che il termine “magazzino di pezzi di ricambio per un figlio” sia irrispettoso e di cattivo gusto. (si noti che seguiamo un filone religioso che ritualmente si ricongiunge con il proprio Dio mangiando il corpo e il sangue di suo figlio), 2) che io non sappia cosa significhi essere padre, 3) che chiunque sarebbe disposto a fare subito la stessa cosa…
Mi sorprende che non ci sia stata una una persona che abbia minimamente capito il senso del mio ragionamento sul tempo, sulla discendenza che diviene via di trascendenza, sul legame fisico indissolubile tra padre e figlio, sulla speranza di sopravvivere in un figlio.
Trovo un segno dei tempi su cui riflettere che tutto possa essere commentato da chiunque ma che ogni astrazione, rispetto a banalissime e scontate semplificazioni della realtà, sia considerata un oltraggio al buon senso comune.
Questo è il pezzo per intero comunque e sotto metto il link al pezzo nell’estratto pubblicato su Instagram de LA STAMPA
DA PADRE IN FIGLIO
Un padre dona per due volte una parte del suo corpo al figlio. La notizia è si importante per il risultato clinico del primo trapianto di polmone da vivente, ancora di più è però rappresentativa della realizzazione concreta di uno dei paradossi affettivi più frequenti. Quante volte abbiamo sentito dire che una persona per i figli si farebbe togliere un occhio, tagliare una mano o altro di simile per definire un gesto di amore assoluto e incondizionato di un genitore verso il figlio.
In questo caso l’uomo è stato protagonista di un intervento da primato all’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo, ha ceduto da vivo un pezzo di polmone al figliolo di 5 anni, che era affetto da una rara malattia del sangue. Proprio per lo stesso problema di salute, sempre il padre, aveva già precedentemente donato al piccolo il suo midollo. Purtroppo una complicanza determinata da una reazione di rigetto aveva provocato il danno polmonare, che ha reso necessario un ulteriore trapianto.
Non so quanti padri siano capaci d’immaginare realmente che il proprio corpo possa essere considerato un magazzino di ricambi per i figli. E’ infinitamente più intenso come atto simbolico del semplice definire un figlio come “carne della propria carne”, che sicuramente è una bella frase a effetto, addirittura è motivo di potente auto gratificazione quando procede pari passo all’osservare nella propria progenie la graduale resurrezione di parti di sé stessi, sia nei tratti del volto come nella maniera di gestire o di parlare.
Possiamo dire che percepire l’evidenza di un legame carnale con il figlio spesso ci riconcilia con le asperità che comporta l’essere padri, ci permette una maggiore tolleranza nella gestione delle difficoltà di relazione con quell’essere che consideriamo “nostro”, che prima o poi però esprime un suo sano istinto al parricidio simbolico, unica maniera per iniziare a coltivare in autonomia la propria cognizione a entrare nella condizione di adulto.
Ecco quindi come nella maggior parte dei casi la consapevolezza di un prolungamento, non solo ideale ma anche fortemente “fisico”, con la nostra prole è consumata unicamente come supporto al fatale consumarsi del tempo a nostra disposizione, vale a dire ci aiuta nella consolatoria illusione di avere costruito nei figli la nostra “trappola per la morte”.
Proprio in questo punto la dedizione del padre di Bergamo divora ogni possibile proposito sul futuro di un figlio. Puntare ogni risorsa possibile sul progetto di una sua felice vita futura può anche significare fare innestare realisticamente pezzi della propria carne nel ragazzo che si vorrebbe come propria propaggine nel tempo. E’ certo che quel padre avrà ora la concreta certezza di poter sopravvivere in quel suo figlio, dopo che per due volte ha attinto a sé stesso per salvargli la vita. (Gianluca Nicoletti LA STAMPA del 19/gennaio/2023)
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