Andiamo in vacanza!
Tommaso e i suoi genitori hanno provato ad andare in vacanza in Trentino. Risultato: Cecilia Bonaccorsi, farmacista di Nettuno, torna sulla disavventura nell’albergo Colbricon di San Martino di Castrozza: “Mio figlio ha la sindrome di Norrie, non parla ed è cieco. Ci hanno chiesto di mangiare in una sala con vetri oscurati. Chiederemo un risarcimento di un euro” (La Repubblica)
Prima ancora di leggere la notizia ormai drammaticamente famigliare, mi è saltata agli occhi la fotografia di Tommaso. È bellissimo, sorridente, felice. Mi ha ricordato molto mio figlio Luca che, grazie al DNA di suo padre (che è molto più piacente di me), è altrettanto bello. Ma non solo: mi è sembrato di percepire dalla foto che, proprio come Luca, anche Tommaso è ignaro di ciò che accade attorno a lui. Non so se è vero, è stata solo una mia constatazione. Luca, per esempio, non si offende se qualcuno lo tratta male, se viene messo in disparte per la sua disabilità. Spero ardentemente che sia stato così anche per Tommaso in Trentino, perché non essere accettati per come si è nati è orribile. Un errore già fatto dal nazismo e che ancora facciamo fatica a evitare.
Noi genitori la conosciamo bene, la discriminazione: fin da quando i nostri ragazzi erano piccolini, non abbiamo fatto parte di gruppi di mamme e papà novelli con figli diversi dai nostri. Siamo sempre stati messi un pochino da parte. Anche più avanti nel tempo, quando i bimbi sono diventati adolescenti: pochi inviti alle feste di compleanno dei compagni, qualcuno addirittura non è stato portato alle gite scolastiche. Ci si indegna, si soffre come delle bestie.
Il mio terrore è diventare talmente anestetizzata di pedate in faccia da non avere più la forza di reagire. La mia fine sarà quando comincerò a pensare di non avere più voglia di combattere contro un gigante tessuto di odio, ignoranza e molto più grande di me. Spero di non cadere mai nella tentazione di farmi scivolare addosso certi tipi di ingiustizie solo perché ho ben altro a cui pensare, perché oggettivamente la mia vita è tutta in salita, solitaria e complessa.
Siamo noi genitori gli unici a denunciare fatti che nel 2023 dovrebbero essere brutti ricordi di tempi lontani. Siamo noi a ritrovarci a piangere di rabbia in bagno per non farci vedere disperati dai nostri figli. Siamo noi a far casino quando veniamo messi di fronte a un’ingiustizia che anche con tutta la buona volontà non possiamo ignorare.
Una vacanza. La famiglia di Tommaso voleva fare una semplice vacanza. Sappiamo tutti cosa significa andare in vacanza con i nostri figli: bisogna prenotare in un posto con meno pericoli possibili; dobbiamo ricordarci di portare tutte le medicine che servono; dobbiamo avere voglia di uscire dal nostro guscio che, malgrado sia monotono e vecchio, almeno possiamo controllare bene. Bisogna mettere le mani avanti e spiegare all’hotel che nostro figlio non reagisce come gli altri in situazioni nuove, di aver pazienza. Che fa dei versi strani, sembra pericoloso ma non morde. Poi, quando si arriva nella camera d’albergo, bisogna far acclamare nostro figlio a uno spazio diverso da quello a cui è abituato; bisogna trovare un ristorante che abbia le cose che può mangiare. Bisogna mettere in conto che la prima notte nostro figlio sarà agitato e tutti dormiremo poco, ma poi si calmerà. Niente locali notturni, niente gite giornaliere se non quelle che nostro figlio riesce a fare. Diciamocelo: non è una vacanza. È un cambio d’aria. Si arriva ad un livello di stanchezza tale che si decide di andare da un’altra parte per un po’. Si arriva nella camera d’albergo esausti e preoccupati. Ci si consola pensando che almeno non bisogna fare le pulizie, non bisogna andare a far la spesa, cucinare, pulire la cucina, portare la pattumiera fuori.
L’ultima cosa che serve in una situazione del genere è quella di essere mandati in un’altra saletta a mangiare perché gli altri ospiti si lamentano di nostro figlio e pensare immediatamente: “Ma se a loro da così fastidio vedere una persona diversa dai loro giri sociali, perché non se vanno loro, nella saletta?”. A quel punto, se non si hanno i nervi molto fermi, si spacca tutto in testa ai camerieri e agli ospiti stronzi e ignoranti. Ma se invece si riesce a contare da uno a dieci tipo trenta volte, allora si chiamano i giornali e si denuncia il fatto. Non cambierà molto: ci saranno sempre alberghi in cui non saremo i benvenuti, ospiti a cui fa schifo mangiare con persone con i nostri figli, situazioni simili. Ma almeno si fa capire che ogni volta che succede un fatto del genere si finisce suoi giornali, sputtanati in prima pagina.
Poi si torna a casa. Coda fra le gambe? No, anzi. Ci si sente ancora una volta combattenti, e si moltiplica la voglia di non volere accettare mai, in nessuna circostanza, le ingiustizie sociali. Soprattutto se riguardano la nostra famiglia.
Marina Viola
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