Dopo 10 anni siamo qui in attesa dell’imprevedibile
Sono dieci anni che esiste questo sito. Non c’avevo fatto caso ma il primo articolo è stato pubblicato a febbraio 2013, anticipavo l’uscita del mio primo libro su Tommy. E’ una ricorrenza legata unicamente alla mia vita privata, non ha un valore pubblico. Però non posso fare a meno di valutare pubblicamente a cosa siano serviti questi miei dieci anni a scrivere, parlare, immaginare.
E’ vero è palese per tutti che dal Covid in poi qui passino meno idee di quante ne passavano all’inizio. Purtroppo se le idee non si ribadiscono di continuo perdono consistenza, svaniscono, entrano nell’universo delle passioni deteriorate, come la moda delle giacche con le spalle imbottite o dei pantaloni a vita alta. Magari ritorneranno attuali, ma indossate da altre persone, come un revival, un dare vitalità alla nostalgia.
Riprendere in mano qualcuna delle mie antiche battaglie saprebbe davvero di riesumazione, questo è davvero il segno del tempo che è passato. Ancora questa mattina ho visto una locandina per il 2 aprile con l’autistico dentro la bolla e la mamma che lo salva con il cuoricino. Mi feci tonnellate di nemici per aver voluto smontare il vecchiume che nascondeva quello spot, sicuramente bello e suggestivo. Ora mi rendo conto che non ne valeva la pena. Tutti amano pensare che il cuore di mamma sia la cura migliore e guai alle mamme che hanno il cuore freddo, è colpa loro di sicuro se il figlio è autistico. Non è un paradosso torneranno a dirlo apertamente, è questione di poco tempo statene certi.
Mi sono scornato anche tanto sui vaccini. Oggi farebbe ridere riprendere il tema del vaccino che provoca l’autismo, il vaccino oramai è uno dei più potenti vessilli nella divisione tra scienza e superstizione, i termini però dopo il Covid si sono così ingarbugliati che sarebbe impossibile riprendere razionalmente quel tema.
Ricordo anche la mia ricerca di una terra promessa, la chiamavo “Insettopia” e mi pareva semplice immaginare luoghi residuali della città degli umani standard creare spazi aperti per la felicità di “Cervelli Ribelli”. Anni a dibattere, mediare, chiedere, progettare. La sintesi vergognosa di tutto ciò è il famoso “Casale delle Arti” che ancora giace abbandonato, divorato dalle sterpaglie e rifugio di animali e umani derelitti. Sembrava che il problema fosse politico, figuriamoci alle poltrone del comando del Municipio di Roma si sono alternati sindaci e assessori. Ora nemmeno più perdono tempo a promettere che faranno. Stanno zitti e ignorano l’esistenza di cittadini con l’autismo in casa.
Alla fine qualcosa mi sono inventato, si perché mi sono tirato su le maniche e ho investito tutto quello che avevo in un luogo fisico che potesse rappresentare per mio figlio il primo gradino verso la fuga a un destino che sembra ineluttabile ogni giorno di più, quello di essere rinchiuso in un posto a lui ostile e diventare una retta per chi lo mantiene in vita. Mi chiedo quanto avremmo vissuti tutti meglio se avessi iniziato così dieci anni fa. Forse era meglio concentrasi sul problema individuale e non cercare di illudersi di poter riuscire a salvare il mondo, soprattutto quando il mondo fornisce chiari segnali che non chiede di essere salvato.
Cosa mi vedo intorno ora? Il deserto dal punto di vista istituzionale. Pasticci a non finire e ambiguità che nemmeno ho voglia di approfondire su quelli che sarebbero dovuti essere i soldi pubblici da spendere per il “dopo di noi”, sui fondi per l’autismo in mano alle regioni, persino sulle nuove linee guida dell’ISS che discutono da anni e il risultato è un continuo cercare di mettere rattoppi e tentare mediazioni, su una materia che sembra non dover più riguardare il benessere dei nostri figli.
Qualche amico mi è rimasto e fortunatamente vedo idee che crescono, si sviluppano portano risultati concreti. Sempre però per iniziative di singoli, bravi genitori cocciuti, medici illuminati, qualche azienda privata che ha deciso di impiegare bene le sue azioni di responsabilità sociale. Per il resto non mi aspetto nulla sul fronte pubblico. Tra uteri in affitto, guerre alle famiglie omogenitoriali o alle invasioni dal mare mi rendo conto che noi e i nostri problemi siamo roba da poco, rispetto alle urgenze che minano alle basi la società dei buoni e giusti.
Continuerò a fare quello che posso per salvare la vita a Tommy, per cercare di costruire su semplici idee che potrebbero diventare un modello interessante anche per altri. Lo continuerò a fare finché avrò fiato, sto cominciando ad accorgermi si essere vecchio e questo non aiuta di certo. Mi accorgo che i bisogni non sono cambiati in questi dieci anni, lo percepisco dalle mail che mi scrivono con sempre le stesse domande: come posso difendere il parcheggio di mio figlio? Come posso trovare un medico che capisca di autistici? Come posso pretendere un insegnante di sostegno stabile? Dove posso far fare attività a mio figlio adulto? Che sarà di lui quando io non ci sarò più?
Vi confesso che in dieci anni d’impegno non ho trovato nemmeno io una risposta e quindi non saprei come aiutarvi. Quello che faccio lo racconto qui, a Roma mi trovate nel fortino dei “Cervelli Ribelli” dove ancora si lavora e sperimenta, anche se chi potrebbe collaborare guarda da dietro l’angolo e fa finta di niente. Non ho intenzione di costruire l’ennesimo ricovero per ragazzi sia chiaro, voglio far crescere idee e progetti, assieme a ragazzi come Tommy ma anche a persone che condividono il principio che si possa avere un cervello ribelle anche senza una diagnosi, persino solo condividendo il principio che “I cervelli ribelli sono quelli che sanno cogliere varianti imprevedibili rispetto a sistemi di pensiero stabilizzati.”
Per questo noi ancora siamo qui, in attesa dell’imprevedibile.