Da Benedetta a Beckett
La psicobiografia è un genere letterario consolidato, applicato tra gli altri a personaggi quali Hitler, Hemingway, Pirandello, Sartre, Tasso, Van Gogh. Ricordiamo poi “La mia unica vita, la mia vita unica” di Cristina Pisanu, che porta questo nome già in sottotitolo, dedicato a una donna “realizzata” che, in seguito a un grave incidente, perde mani e gambe. Il libro è uscito nel 2020 per Le scatole parlanti, l’editrice dalla quale arriva ora “Samuel, Murphy e io” di Gabriella La Rovere, che confessa nelle prime righe di essere arrivata ai sessant’anni senza aver mai letto niente di Beckett. “Sapevo chi fosse, quali fossero alcuni dei suoi libri più importanti, ma niente più di questo. Era tra gli autori dell’ultimo anno del liceo che ho inconsciamente evitato di studiare”: poche righe che già evidenziano come le psicobiografie intreccino i dati più intimi e sofferti del personaggio prescelto e dell’autore stesso. Come spiega l’autrice: “Sentirsi straniera tra simili e alla fine farsene una ragione è il leitmotiv che mi unisce a lui”.
La Rovere si descrive come “un’adolescente complessata da un’altezza maggiore rispetto alla media delle coetanee e dall’essere così longilinea, priva di forme, da meritarmi il soprannome di schizzo”. In età adulta ha acuito la propria sensibilità al dolore, proprio e altrui, divenendo “un medico con una sola paziente”: Benedetta. La figlia alla quale ha deciso, per quanto questo verbo si adatti a vite tanto segnate dal destino, di dedicarsi fino ad abbandonare la professione di cardiologa. Benedetta è infatti affetta da sclerosi tuberosa che, spiega la mamma-medico in una lettera sulla Stampa, “è una malattia bastarda nella quale le formazioni tumorali (di solito benigne, ma non è detto!) interessano tanti organi danneggiandone la funzione. Ed ecco perciò l’epilessia non controllata dai farmaci, il ritardo mentale, l’autismo, la lenta evoluzione verso l’insufficienza renale, il possibile interessamento polmonare, cardiaco, e così via. Mia figlia ha anche un aneurisma del sifone carotideo sinistro, una complicanza ancora più rara all’interno della sua straziante rarità, che le conferisce l’onore (!) di essere il 19esimo caso al mondo”.
E poi ci sono la schizofrenia e l’evoluzione psicotica grave che la trasformano “in un essere rabbioso, con occhi e voce diversi […] La nostra vita è cambiata, i momenti di serenità sono pochissimi”. Una vita che ha posto al centro di molti articoli pubblicati sul sito Per noi autistici e di volumi autobiografici quali “L’orologio di Benedetta” (Mursia) e “Mi dispiace, suo figlio è autistico” (EGA-Edizioni Gruppo Abele). Come ha detto il suo amico e mentore Gianluca Nicoletti, anch’egli genitore di una persona con autismo cui ha dedicato alcuni libri e un documentario: “Gabriella La Rovere fa parte di quella profonda, scriteriata congrega di genitori di ragazzi autistici che, anziché limitarsi a fare le vittime, hanno deciso di rimboccarsi le maniche”.
Tornando al drammaturgo irlandese oggetto di “Samuel, Murphy e io”, dopo la lunga ma doverosa digressione, La Rovere racconta: “L’incontro con Beckett è poi avvenuto per caso, quando ormai tanti anni erano passati e i battibecchi tra adolescenti si erano trasformati in profonda amicizia e affetto. Ho in comune con questo autore la neurodiversità che è entrata a far parte della mia vita trent’anni fa”. La biografia, “al di là della produzione artistica, va a focalizzarsi sull’aspetto caratteriale e relazionale”. Due aspetti peraltro sinottici poiché, secondo l’autrice, “fragilità e sensibilità sono aspetti che predispongono alle bufere emozionali degli attacchi di panico”, ma sono anche “l’humus fruttifero delle opere artistiche, sono il quid che migliora l’azione dei professionisti impegnati nella cura degli altri”. Ecco così stabilito il primo nesso che giustifica il titolo “Samuel, Murphy e io”.
Il secondo è relativo a “Murphy”, primo di una serie di romanzi beckettiani il cui titolo inizia con la lettera m. Non certamente la sua opera più famosa, almeno nell’immediato: “Le vendite non furono buone: nel 1938 furono vendute cinquecentosessantotto copie, ventitré copie nel 1939, venti nel 1940 e sette nel 1941. Nel marzo 1943 Murphy fu messo fuori stampa”. Ma quella psichicamente più significativa, afferma La Rovere: “Il romanzo rappresenta l’autismo sia nella caratterizzazione del personaggio che nella disposizione discorsiva e retorica del testo”. Dove si svilupperebbe una “dinamica autistica latente” che investe sia il protagonista sia la struttura del romanzo, basata su cinque caratteristiche – silenzio, calma, mancanza di empatia, fascino per gli schemi, comportamenti ripetitivi e ritualistici – a ciascuna delle quali il saggio dedica un capitolo. “Scrivo di neurodiversità dal 2015”, conclude l’autrice, che attraverso i classici della letteratura analizza, “con spirito e occhio clinico, personaggi che possono essere considerati autistici” per poi “andare a scavare nella vita di quegli scrittori” e “scoprire come mai sono riusciti a descrivere così bene quei comportamenti e atteggiamenti, se avessero avuto un caso in famiglia o nella loro ristretta cerchia di amici. Perché farlo? Per curiosità, è chiaro ma anche con la recondita speranza che le tante ore sui libri, concentrate in un saggio come questo, possano essere l’inizio di un altro studio, di un’altra esplorazione”. Già: perché della sindrome dello spettro autistico, nonostante l’ormai mastodontica letteratura scientifica, saggistica, narrativa e diaristica, continuiamo a sapere e capire ancora molto poco.
di Marco Ferrazzoli
(Pubblicato il 15/06/2023 su L’ Almanacco della Scienza, il web magazine curato dall’Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche)
Titolo: Samuel, Murphy e io
Categoria: Narrattiva
Autore: Gabriella La Rovere
Editore: Le scatole parlanti
Pagine: 94
Prezzo: 13,00