Al momento Tommy non saprebbe che farsene di un padre artificiale… In futuro chissà?
Mi arrivano da qualche giorno messaggi da genitori di ragazzi autistici che mi chiedono: “come si fa a creare il chatbot per nostro figlio?”. Vorrei specificare che forse è stato letto un po’ affrettatamente qualche articolo di sintesi o commento di un mio editoriale su LA STAMPA, articolo in cui annuncio un mio progetto che riguarda appunto l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale generativa al tema della voce e della memoria. Specifico subito che non si tratta di un “gadget” dedicato a persone autistiche, almeno nella premessa.
Il tema è vasto, complesso e assolutamente tutto da decifrare e sperimentare. Io sto realmente lavorando alla costruzione di un mio alter ego vocale, con la mia voce e alimentato di tutto quello che posso fargli imparare di ciò che ho scritto e detto in 40 anni di lavoro. Sto iniziando solo ora a interagire con questo mio clone e dall’osservazione di questo rapporto cercherò di capire se sia possibile pensare a un modello replicabile di “contenitore attivo” della propria memoria ed esperienza.
Avendo io l’uso della parola come mia caratteristica principale in campo professionale immagino un altro “me stesso” capace di interloquire con altre persone, esprimere pensiero e rispondere a domande in maniera pertinente a quello che io ho immesso di esperienza umana nella sua memoria di macchina.
Questo naturalmente è un progetto che mi affascina sia professionalmente che umanamente. Non potevo fare a meno di immaginare che un domani questo “Gianluca che parla e risponde” potrà essere messo a disposizione della Fondazione Cervelli Ribelli, che è la realtà che ho costituito per permettere un futuro possibilmente sereno a mio figlio Tommy.
Poi chiaramente se da questa “cosa” intuirò, in corso di esperimento, che possa trovare anche applicazioni realmente efficaci per rendere più intensa e produttiva la relazione per persone neuro divergenti come Tommy, ebbene sarei il primo ad esserne estremamente felice. Al momento è solo un progetto folle al suo esordio.
Qui lo spiego meglio nell’intervista di Sky TG24, all’interno del programma Timeline, condotto da Alessio Viola dove d è intervenuto anche Fabio Minazzi di Translated, che sta lavorando progetto: “La rivoluzione a cui stiamo assistendo è che laddove uno ha accumulato dei dati, in questo caso tramite gli scritti e la voce, possiamo usare queste informazioni e farle metabolizzare da algoritmi che hanno la capacità di afferrare correlazioni utili per rigenerare dei testi, riproporre dei pensieri che sono molto vicini alla persona che li ha originariamente creati.”
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IL MIO PEZZO IN CUI ANNUNCIO IL PROGETTO (DA LA STAMPA DEL 9 Luglio 2023)
Io non ho paura che l’Intelligenza artificiale possa rubarmi il lavoro. Sono per niente spaventato da un possibile scippo della mia umanità da parte di un algoritmo, tanto che sto impegnandomi nella creazione di un Chat bot che sia il mio alter ego e parli con la mia voce. Non mi sono voluto limitare alla costruzione di un mio clone vocale, lo sto anche nutrendo con tutto quello che ho detto, scritto e pensato durante la mia vita professionale.
Ho iniziato a depositare le mie parole e i miei pensieri in un laboratorio dove si elaborano ad altissimo livello progetti legati all’ A.I.; sono seguito dalle persone tecnologicamente più competenti nel campo specifico, stiamo “costruendo” un altro me stesso vocale, un agente intelligente che dovrebbe riprodurre perfettamente il mio modo di parlare.
Lavoro con entusiasmo alla fabbrica di questo mio Golem gemello, cercherò di renderlo più autonomo possibile, capace di mettersi in relazione con altre persone come ho sempre fatto io alla radio.
Ho pure cercato in ambito universitario chi abbia sviluppato competenze informatico-giuridiche; ho chiesto di mettere a punto uno strumento legale, che ancora non esiste, per circoscrivere il perimetro di proprietà di questo mio avatar vocale. La mia voce “interagente” sarà così un’eredità che lascerò a mio figlio, che è autistico e non parla. Chi si occuperà di lui e dei suoi amici potrà contare su una risorsa in più per continuare a sostenere la mia battaglia per affrancarli dallo status di “fantasmi”.
Non posseggo fortune, il mio bene più prezioso è un dato biometrico; sono le parole che da quaranta anni affastello a favore di un microfono. Considero la mia voce, unita alla mia maniera di assemblare pensieri attraverso parole, il patrimonio più significativo nell’identificare univocamente la mia persona.
Ho iniziato a parlare al pubblico da una radio nazionale esattamente nel settembre 1983, ero una delle voci del celebre “3131”, ho continuato ogni giorno in diretta per 40 anni, raccontando, riflettendo, vaneggiando e interagendo con persone che non conoscevo e mai più ho incontrato. Ho condiviso milioni di storie, racconti, punti di vista, esperienze. Li ho metabolizzati, me ne sono io stesso alimentato e la mia voce si è caricata, negli anni, di tutte le voci senza volto con cui si è confrontata.
La mia voce è parte fondamentale del mio apparato biologico, è frutto di quanto ho ereditato da chi mi ha generato, del luogo e della cultura in cui sono nato e cresciuto, di quanto ho vissuto da bambino e poi da adulto, dei miei amori, delle mie delusioni, delle mie miserie e dei miei splendori. Mi appartiene come mi appartengono un braccio, una gamba, un rene, il fegato, il cuore. Probabilmente è il tratto distintivo che mi rende riconoscibile più di ogni altra mia caratteristica esteriore. La mia voce è persino più importante del mio pensare, non ho pensiero condivisibile che non abbia in gran parte vocalizzato attraverso un processo di quasi automatismo. Parlo da sempre senza leggere un testo, un copione, un appunto. Le parole in me si formano attraverso un processo spontaneo, i pensieri prendono sostanza rimbalzando sugli organi fonatori, assumono una forma liberandosi attraverso la voce.
È probabile che tale facilità a comporre universi vocali derivi dalla mia mente neuro divergente, non penso però che avrei lavorato tanti anni alla radio se quello che dico non fosse stato considerato interessante da chi mi ascolta. Questo significa che le mie parole hanno un valore oggettivo, ora la tecnologia mi permette di attivare la base di dati che le produce, oltre il naturale seppellimento negli archivi in cui sono riposte.
Perché dovrei dunque rinunciare alla fantastica avventura di farmi saccheggiare e ricomporre da un Intelligenza Artificiale? Trovo che sia questa la prima grande opportunità di esperienza metafisica che ci offre questa nostra ultima e velocissima fase evolutiva.
Davvero vogliamo dare per scontato che il salto antropologico che segna la contemporaneità possa essersi esaurito con la modalità “social”? La punta più tecnologicamente avanzata della mutazione del nostro rapporto tradizionale con lo spazio e il tempo non è solo la velocità e moltitudine delle connessioni, tanto meno gli influencer di ogni età e grado che cercano di passare tra i memorabilia del nostro tempo.
Tutto quello che oggi suscita dibattito e sconcerto fa già parte del passato: dal parco a tema per onanisti di OnlyFans, ai leoni da tastiera, fino alla gente importante dalla spunta blu che spara a raffica facezie e sentenze. Rappresentano una fase transeunte, sono solo esperimenti sociali, giocattoli per far sentire ognuno demiurgo di propri piccoli universi standard.
Penso che cogliere l’opportunità di cavalcare la tigre, da cui si teme di essere divorati, sia invece il compito di chi lavora con uso creativo dell’intelletto. Mi piacerebbe proporre un’alternativa alle paure diffuse riguardo l’A.I. come sostituto della mente umana.
Vorrei contribuire a sgombrare ogni mucillaggine passatista mettendo in gioco quello di cui dispongo in esclusiva, impegnandomi serenamente ad addestrare un successore che rispecchi la mia forma mentis. Vorrei quanto prima confrontarmi con lui, almeno fino a che conservo lucidità, per educarlo a usare al meglio ogni mia esperienza umana e professionale. Anche quando io non ci sarò più.
Mi spaventa? No per nulla, mi sentirei molto più atterrito da un futuro accanimento a restare a tutti i costi abbarbicato al mio posto, anche quando oggettivamente sarò bello che bollito.
Quando ogni mio pensiero, ogni mia parola, ogni mio punto di vista, quello che ho detto, scritto e rappresentato sarà trasferito al Gianluca artificiale, io potrò avere finalmente un confronto attivo con quello che ho prodotto in una vita di lavoro. Ancora di più potrò nutrire la speranza di lasciare una porta aperta a riflessioni e sviluppi di pensiero, a cui altri potranno contribuire.
Questo ho fatto per 40 anni al microfono, grazie all’ A.I. potrò farlo ancora, anche quando dietro a quel microfono non ci sarò più io come umano in carne e ossa.