Chi è neurodivergente ha amici?
Il video di Shayden Walken, bambino di 11 anni con disturbi dello spettro autistico, che bussa alla porta del vicino di casa cercando qualcuno con cui stringere amicizia, ha avuto 70 milioni di visualizzazioni su TikTok e, sulla scia emotiva, un certo numero di persone si sono offerte come amici. Sicuramente tra loro ci sarà chi continuerà questa esperienza di reciproca conoscenza e condivisione emotiva, mentre la maggior parte avrà scordato ogni particolare dell’intera vicenda già dopo una settimana.
La notizia mi ha riportato alla mente i quattro anni nei quali, vestendo i panni di Harry Potter, ho mantenuto una corrispondenza epistolare in lingua inglese con mia figlia. [1]Il motivo era quello di aiutarla a superare i momenti difficili che caratterizzano l’età dell’adolescenza e a gestire l’ansia secondaria a modifiche della routine quotidiana. In un secondo momento ho dovuto interrompere questo tipo di relazione per spostarla sul piano della realtà e ho chiesto, tramite i social network, nuove e vere amiche per lei. [2]Dalle tante richieste e altrettanti contatti, solo una ragazza è ancora tra i suoi amici più fedeli.
Sembra strano che persone nello spettro autistico e con difficoltà relazionali possano desiderare di avere un amico, non necessariamente per parlare, qualcuno la cui sola presenza risulta essere altamente significativa. E questo non fa che affermare il primo assioma della comunicazione umana secondo Paul Watzlawick per il quale è impossibile non comunicare.
Una recente metanalisi[3], che ha incluso 23 studi quantitativi sulle differenze nei livelli di solitudine tra persone neurodivergenti e neurotipiche, ha riscontrato un’aumentata solitudine nelle persone autistiche, dall’infanzia all’età adulta. Allo stesso modo, una review sistematica che sceglieva studi qualitativi, quantitativi e metodi misti sulla solitudine negli adulti con disturbi dello spettro, ne ha evidenziato l’aumento e il desiderio di relazione sociale.
La solitudine è un’esperienza comune; l’80% delle persone sotto i 18 anni di età e il 40% degli adulti sopra i 65 anni riferiscono di essere soli, almeno a volte. La solitudine è sinonimo di isolamento sociale percepito, non di isolamento sociale oggettivo. Le persone possono vivere vite relativamente solitarie e non sentirsi tali e, al contrario, possono vivere una vita sociale apparentemente ricca e sentirsi comunque sole.
Il fattore principale in grado di influenzare il sentimento di solitudine è l’amicizia. Uno studio che ha coinvolto adolescenti neurodivergenti e neurotipici ha riportato che entrambi abbiano gli stessi desideri di compagnia, di avere qualcuno di cui fidarsi e con il quale fare cose. Le amicizie per le persone autistiche si formano sulla base della vicinanza e dell’omofilia, così come per la popolazione generale neurotipica. Gli individui autistici tendono a fare amicizia con i coetanei con disturbi dello spettro, ma non solo. Per loro le differenze nelle norme sociali, negli stili di comunicazione e nei bisogni sono una barriera allo stabilirsi della relazione. Di conseguenza si sentono costretti ad usare il morphing adattivo (una sorta di trasformazione camaleontica) nel tentativo di adattarsi ai loro coetanei neurotipici, osservando e imitando i comportamenti degli altri o “fingendo” di essere socialmente competenti e popolari. Non sempre questa strategia funziona e nascondere il vero sé può portare all’instaurarsi di sentimenti di angoscia. Una minore competenza sociale degli autistici può indurre reazioni negative da parte degli altri, fino a episodi di vero bullismo, che favoriscono ancora di più l’isolamento.
[1] Come ogni notte Harry Potter scrive a Benedetta la sua amica autistica – Per Noi Autistici
[2] AAA cercasi amiche per Benedetta…Harry Potter parte per un lungo viaggio! – Per Noi Autistici
[3] Hymas, R., Badcock, J. C., & Milne, E. (2022). Loneliness in autism and its association with anxiety and depression: A systematic review with meta-analyses. Review Journal of Autism and Developmental Disorders
Gabriella La Rovere