Sono Marina Viola mamma di un cerebroleso che sbava.
Marina Viola ha scritto una lettera aperta a Concita De Gregorio per dirle la sua sull’infelice pezzo su cui abbiamo già scritto. La proponiamo ma dopo di questo, siccome non ci piacciono gli accanimenti, non ne parleremo più.
Al primo pezzo di Concita è seguita una replica, che onestamente era peggio ancora del pezzo se possibile. Risultava che in sintesi, per colpa del politicamente corretto, non vale più nemmeno il contesto in cui si usano certe parole. E’ una giustificazione imbarazzante che nemmeno mi va di commentare.
Sono solo soddisfatto che l’ Ordine dei Giornalisti abbia preso posizione, sancendo che non può essere usata la disabilità come insulto. Sono anni che lo scrivo a miei colleghi ma era sempre restata lettera morta. Mi ripugnano le gogne e l’istigazione all’odio e quindi pregherei chiunque di evitare di usare il lecito risentimento di noi genitori come arma per battaglie politiche o attacchi personali.
Se ne è parlato tanto, però è ora che su questa storia cali il silenzio, un’esistenza civile per i nostri ragazzi balzani non si conquista solo sbandierando le scivolate altrui. (GN)
LETTERA APERTA A CONCITA DE GREGORIO
Cara Concita,
mi chiamo Marina Viola e sono la mamma di un cerebroleso che sbava. Quando poi mangia i suoi biscotti al cioccolato, devi vedere che schifo: sbava una bava marroncina che sembra merda. A proposito di merda: si caga anche addosso, come ha fatto ieri sera. Non ha mai avuto un’insegnante di sostegno perché è talmente cerebroleso che manco lo hanno accettato nelle scuole pubbliche!
Parlavo con amici, genitori di figli cerebrolesi, proprio della condizione peggiore dei nostri figli: la loro vulnerabilità. L’incapacità di far gruppo, di organizzarsi e di protestare, ma anche l’incapacità di capire di essere discriminati. Peggio ancora della bava, peggio ancora delle crisi epilettiche settimanali e della difficoltà di comunicare, i cerebrolesi, come li chiami tu, sono alla mercé di tutti, ma proprio di tutti. Non c’entrano i contesti, non c’entrano le cazzate che persone fortunatamente normo dotate ma coglione fanno, non c’entra la sensibilità di chi, come noi, ha la responsabilità di parlare a grandi gruppi.
Per esempio, ho una figlia queer e fortunatamente per lei, ci sono enormi manifestazioni in tutto il mondo che espongono discriminazioni e altro. Hanno il Pride, sono riusciti ad ottenere importanti leggi a loro favore, almeno qui negli Stati Uniti (in Italia, come sai, siamo terribilmente indietro). Per Luca non è così. Tutti, compreso l’ex presidente degli Stati Uniti, dove vivo da più di trent’anni, possono permettersi di deridere la loro situazione. Tanto, come vede, a parte qualche genitore arrabbiato, non ci sono conseguenze alcune.
Fino a quando si capirà che i cerebrolesi hanno, ahimè per qualcuno, un ruolo fondamentale nella società e devono essere considerati, sarà sempre così.
Il loro ruolo nella società si chiama neuro diversità. Come ogni essere umano ha diverse caratteristiche a seconda di dove è nato, della cultura ricevuta, dalle opportunità, così i cerebrolesi hanno una serie di valori diversa dai nostri, un modo differente di percepire il mondo.
Per esempio, non conoscono la competitività, non sono interessati a raggiungere alcun successo economico, non hanno nessuna voglia di far parte della politica, degli opinionisti. Non rompono le palle a nessuno, se non ai propri genitori o a chi non ha nessuna voglia di includerli nel quotidiano. Eppure, ci sono. Cosa facciamo: li eliminiamo? Non diamo loro le cure necessarie così se muoiono ci togliamo anche questo peso? Li utilizziamo per descrivere degli stronzi che vogliono fare dei selfie? Dimmi tu in che modo è meglio renderli più invisibili possibili. Sono tutta orecchi.
Ma tu lo sai quanto ho desiderato che mio figlio facesse parte della schiera di chi fa le cazzate, si fa i selfie, esce con gli amici, beve troppo e posta sui social delle tette nude? Per fortuna, invece, mi è capitato di avere un figlio cerebroleso, che mi ha insegnato che i valori della vita non stanno nella carriera, nella costante produzione di idee, di plastica, di fuffa, di mine vaganti. Non ci crederai, ma mio figlio è il mio fiore all’occhiello, è la mia salvezza da una società malata, in cui tutto passa, va tutto bene, basta che venda.
Parlare del contesto è ormai superfluo, una scusa che non serve più a niente. Oggigiorno, nel 2023, non riesco a pensare ad alcun contesto in cui si possa dire la parola fro**o, ne**ro, cicc**ne, mong*****e. Non ci è più permesso, perché se non ci si arriva con l’empatia, bisogna in qualche modo arrivarci: insultare le persone perché diverse da noi, ma non per questo inferiori, non è consentito in nessun contesto. Soprattutto, aggiungo io da madre di un cerebroleso, insultare persone che non si possono neanche difendere è ancora meno accettato.
Mi scuso per lo sfogo, ma mi sono sentita in dovere di dire la mia. Chiamiamola deformazione professionale: sono anni che mi ribello, anche se ovviamente non serve a niente.
Colgo l’occasione per salutarti e per augurarti tutto il bene.
(nella foto: il mio fiore all’occhiello)
MARINA VIOLA
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