L’horror e la disabilità
“Allora dunque ci sono questi cretini integrali, decerebrati assoluti che in un tempo non così remoto sarebbero stati alle differenziali, seguiti da un insegnante di sostegno che diceva loro vieni tesoro, sillabiamo insieme, pulisciti però prima la bocca” (Concita De Gregorio)
La generazione di sentimenti di paura, disagio, ansia, repulsione sia di un mostro disabile, che per un personaggio disabile vulnerabile è la ragione d’essere dell’horror. Come scrive Ian Olney, professore di studi cinematografici presso York College della Pennsylvania, l’horror “ha avviato e perpetuato molti degli stereotipi più insidiosi e duraturi sulla disabilità fisica”. In particolare, l’horror ha spesso raffigurato i disabili come cattivi e come strumenti delle forze del male, o ha inquadrato i suoi personaggi mostruosi in termini di disabilità. Questo è vero sia per le opere classiche nella più ampia tradizione gotica e horror, come Dracula di Bram Stoker (1897) e Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde (1886) di Robert Louis Stevenson, sia per le fiction horror contemporanee come Misery di Stephen King (1987). Tali rappresentazioni sono percepite come un rafforzamento del legame tra disabilità e criminalità o male. Allo stesso modo, le rappresentazioni delle persone disabili come vittime risuonano e rafforzano le concettualizzazioni delle stesse come indifese o vulnerabili, già vittime delle circostanze o del caso.
Gran parte del lavoro critico pubblicato sulle rappresentazioni della disabilità negli ultimi due decenni ha cercato di andare oltre le discussioni riduttive sulla rappresentazione della disabilità in termini di immagini negative o stereotipi, o ha mirato a recuperare testi o rappresentazioni specifiche precedentemente liquidate come problematiche. Le consuetudini rappresentative dell’horror, tuttavia, hanno in gran parte escluso il genere da questo programma di recupero, riflettendo “il presupposto che le opere di narrativa e film dell’orrore che trattano della differenza corporea quasi inevitabilmente riflettano e rafforzino la prevalente egemonia della normalità”
Il problema che l’horror ha posto e continua a porre agli studi sulla disabilità è fondamentalmente un problema di emozioni. Non si tratta solo di un genere che tenta di creare una risposta spaventosa, piuttosto il problema è la risonanza tra le emozioni che la disabilità induce e i sentimenti coinvolti negli incontri interpersonali con la disabilità. Nell’horror, le persone con disabilità sono state spesso inquadrate in modi particolari per evocare sentimenti di paura, orrore e repulsione. Nella cultura contemporanea popolare un ambiente minaccioso è spesso intensificato dalla esibizione di un corpo umano grottesco e l’uso della disabilità per generare o aumentare sentimenti minacciosi è comune nell’horror. Allo stesso tempo, molti studiosi di disabilità hanno notato un’associazione culturale tra disabilità e paura: la nozione della persona disabile come figura spaventosa o sinistra, o della disabilità stessa come paurosa, ricorre nel lavoro dei critici. Come ha scritto Tobin Siebers, professore di lingua e letteratura inglese e sostenitore degli studi sulla disabilità, “l’ideologia dell’abilità ci fa temere la disabilità”. Questa associazione tra disabilità e paura è una delle ragioni chiave per la frequente comparsa della disabilità nei testi horror. La stessa qualità, che rende la disabilità attraente per gli autori horror, rende il genere un anatema per gli studiosi di studi sulla disabilità.
I testi horror sono percepiti come uno sfruttamento delle associazioni negative della disabilità utilizzando la stessa come strumento per generare affetti paurosi. I testi del genere sono quindi intesi come perpetuanti un ciclo continuo di pregiudizio e discriminazione.
Per quanto è possibile, cerco sempre di trasformare una cosa negativa in qualcosa che possa aver ragione d’essere. La frase di apertura produce orrore, non solo per il contenuto, ma anche per la forma, così carica di violenza. La prima parola che mi è venuta in mente ha dato l’avvio ad un approfondimento
Gabriella La Rovere