Chi o cosa fa di noi dei mostri?
“Il mostro” è il lavoro più complesso dello scrittore Stephen Crane (1871-1900), tra gli iniziatori del romanzo naturalistico. È un racconto per bambini, ma anche una feroce satira sociale, uno studio ambizioso della responsabilità etica, un devastante resoconto di quanto l’ostracismo fosse diffuso in una piccola comunità americana. Nessun’altra opera di narrativa breve è stata più importante tematicamente, almeno fino all’uscita de “L’orso” (1942) di William Faulkner.
Stephen Crane scrisse “Il mostro” nel 1897, mentre era in vacanza in Irlanda con Harold Frederic, e venne pubblicato su Harper’s Magazine nell’agosto del 1898. Il racconto fu il primo di una serie di storie che si svolgevano nella mitica città di Whilomville. Era intenzione di Crane creare un volume di episodi correlati che interessavano la famiglia Trescott, soprattutto il giovane Jimmy e suo padre, un famoso e noto medico. Sebbene abbia scritto quindici di queste storie nei successivi due anni, non visse abbastanza per pubblicare il libro che le raccoglieva secondo la sua idea originale; un volume parziale, con le opere giovanili più leggere, apparve dopo la sua morte.
Ancora prima di essere pubblicato, il racconto provocò diverse reazioni. Joseph Conrad confessò a Crane che la storia lo aveva tormentato, Harold Frederic lo esortò a buttarlo via. L’editore Richard Watson Gilder del “Century Magazine” rifiutò il racconto affermando che non poteva darlo alle stampe perché alla rivista erano abbonate tante mamme in attesa. Dopo la sua pubblicazione, Julian Hawthorne, figlio del più noto Nathaniel, lo definì “un oltraggio all’arte e all’umanità”.
La trama è incentrata sul dott. Trescott, sul suo giovane figlio Jimmy e sul nero Henry Johnson. Trescott è un padre amorevole, completamente assorbito dal lavoro, dal prendersi cura dei pazienti e dalle ricerche scientifiche che svolge in un laboratorio perfettamente attrezzato in una stanza al pianterreno della sua casa. Il piccolo Jimmy passa molto tempo con Henry che, in qualche maniera, colma le mancanze del padre, comportandosi come un buon amico. Henry può essere considerato il dandy della comunità nera, un gentiluomo gentile vestito con pantaloni color lavanda e cappello di paglia con fascia di seta; è innamorato di Miss Bella Farragut che corteggia usando toni di esagerata deferenza. Quando scoppia un incendio nella residenza dei Trescott, Jimmy è intrappolato nella sua camera al piano superiore. Henry si precipita tra le fiamme e porta il bambino nel laboratorio, dove la presenza delle sostanze chimiche rende la situazione estremamente pericolosa. Il dott. Trescott arriva in tempo per trascinare Jimmy in salvo, ma il volto di Henry viene interamente corroso dal mix di fuoco e agenti chimici.
Dal giorno dopo l’incidente, il dott. Trescott si preoccupa di curare le ferite di Henry, nonostante a Whilomville cominciassero a circolare voci che descrivevano Henry come un orribile mostro. Come cresce l’indignazione della comunità, alimentata dalla comparsa di Henry ad una festa di bambini e dalla ripresa del suo corteggiamento a Bella, viene ad essere costituita una delegazione per consigliare al dott. Trescott di allontanare Henry, perché la presenza di quel “mostro” spaventa le donne e non fa dormire i bambini. Quando si rifiuta perché verso di lui ha un obbligo morale avendogli salvato il figlio, perde immediatamente molti pazienti e gli amici si allontanano. La storia finisce con la rivelazione che anche la sig.ra Trescott subisce la stessa forma di ostracismo e, alla sua consueta riunione pomeridiana del mercoledì, ci sono quindici tazze da tè vuote, abbandonate sul tavolo del salotto.
La trama e i personaggi de “Il mostro” riflettono una sintesi di influenze biografiche, storiche e letterarie. Secondo il nipote, l’ispirazione venne da un uomo, un certo Levi Hume, che viveva a Port Jervis, al quale il cancro aveva “mangiato” la faccia. Come il personaggio di Henry Johnson, Levi Hume non venne allontanato dalla comunità e lavorò come operaio. Molto più probabile è l’influenza della vicenda di John Merrick, l’Elephant Man, anche lui accudito da un medico, il dott. Treves, e che morì nel 1890, otto anni prima la pubblicazione del racconto. Un’altra ispirazione è data dal dramma “Un nemico del popolo” di Henrik Ibsen, pubblicato nel 1882, in cui il protagonista dottor Stockmann è un medico rispettabile che scopre che le terme locali sono state inquinate da una conceria. Egli rende pubbliche le sue scoperte, sentendo un obbligo morale nel farlo, ma la comunità si scaglia contro di lui. I figli vengono emarginati, lui e sua moglie finiscono in isolamento, aggrappandosi all’idea che coloro che sono moralmente forti, che abbracciano la responsabilità etica, devono imparare ad essere soli, a vivere separati dalla società.
Strutturalmente “Il mostro” riflette una certa simmetria. È diviso in ventiquattro capitoli, la prima metà racconta come Henry è diventato un mostro, e la seconda rivela come la comunità è diventata mostruosa. Espressione dell’equilibrio della trama, l’evento chiave di ciascuna metà della storia si svolge al centro: Henry si ustiona orribilmente nel capitolo 6, il dott. Trescott viene allontanato a partire dal capitolo 18.
La storia de “Il mostro” è una descrizione del pregiudizio, della paura, dell’isolamento in un ambiente tradizionalmente associato alla cordialità e alla buona volontà. In questa dimensione, il focus ne “Il mostro” è sulla comunità, piuttosto che su Henry o sulla famiglia Trescott. La parte più importante della storia è la seconda metà, quando la città mostra la sua intolleranza razziale e la ripugnanza per l’uomo deforme e per tutti coloro che gli sono amici.
Significativa è come la mostruosità sia soggettiva, definita dagli altri, dalle reazioni di fuga e chiusura. In tutto il racconto non si hanno riferimenti diretti alle lesioni del volto di Henry, l’orribilità è mediata dal racconto: “Sapete, lo descrivono come la cosa più spaventevole del mondo. Il giovane Bernard, quello che fa le consegne per il droghiere, l’ha visto lì da Alek Williams col risultato che per due giorni non è riuscito a buttar giù un boccone. Così ha detto”
Niente nel comportamento di Henry dopo l’incendio suggerisce che ci sia stato un danno cerebrale, egli continua a comportarsi gentilmente come prima e si aspetta di essere trattato come un essere umano, proprio perché niente è cambiato in lui. Moralmente, socialmente, umanamente non è stato il fuoco a renderlo un mostro, ma la cittadina di Whilomville, agglomerato del più agghiacciante archetipo umano.
Gabriella La Rovere