In Italia per la prima volta si studia il figlicidio di disabili
Si sappia che esistono genitori che uccidono i loro figli disabili e poi si suicidano. Lo fanno perché non hanno fiducia che qualcuno possa degnamente occuparsene dopo di loro.
Questo è uno dei possibili scenari del “figlicidio altruistico”, un’atroce contraddizione in termini che indica l’uccisione di un figlio “per pietas”, temendo una sua possibile sofferenza futura. È uno schema assai ricorrente tra i possibili eventi di genitori assassini dei propri figli, nelle cronache si usa definirlo come raptus, azione folle, gesto insano. Tutto pur di evitare di approfondire la cruda realtà di un delitto compiuto spesso in piena lucidità.
Parliamo di un atto criminoso assolutamente non legittimo, sarebbe però forse in parte evitabile se fossero messi punto specifici strumenti di screening sul dramma che può provocare la solitudine e la disperazione di un genitore. È difficile immaginare cosa possa passare per la mente di chi convive con l’incubo costante del destino incerto di un figlio non autosufficiente, che si teme resterà abbandonato a sé stesso quando non sarà più possibile dedicarsi a lui personalmente.
Il progetto di annientamento nasce per un meccanismo mentale alimentato da diversi fattori, su cui sta cercando di accendere una luce lo psichiatra torinese Roberto Keller, che ha iniziato a lavorare, per la prima volta in Italia, a un data base di casi di figlicidio altruistico nel campo della disabilità.
Dagli archivi dell’ANSA sono stati estratti gli episodi di omicidio che in Italia negli ultimi 30 anni hanno avuto per protagonisti disabili. Il più recente è avvenuto a Trieste il 16 marzo 2023; è la storia di un padre di 67 anni che ha ucciso a coltellate il figlio disabile di 38, tentando poi il suicidio con lo stesso coltello. A ritroso in questo arco di tempo il figlicidio più remoto risale al marzo del 1992, quando in provincia di Arezzo un operaio di 43 anni uccise con un colpo di doppietta al cuore il figlio disabile di 25 anni, per poi suicidarsi sparandosi alla gola.
Il dottor Keller opera al Centro Regionale Disturbi dello Spettro Autistico in Età Adulta della ASL Città di Torino. Sta esaminando con la sua équipe i casi che hanno avuto maggiore eco mediatica, lo scopo della ricerca è individuare i fattori di rischio e attivare i programmi di prevenzione e supporto ai familiari.
Negli Stati Uniti il contrasto al figlicidio altruistico fa già da anni parte delle azioni della rete di autodifesa delle persone autistiche ASAN (Autistic Self Advocacy Network). Dal loro sito è possibile scaricare il “Toolkit anti figlicidio” con dati, consigli e strumenti di auto aiuto, tra le iniziative dei suoi attivisti è stata istituita una giornata in ricordo dei disabili uccisi dai loro assistenti familiari. Proprio perché questo tipo di omicidio non sia giustificato, o banalizzato come una fatalità considerata possibile, ogni primo marzo organizzano veglie commemorative a lume di candela in varie parti del mondo, il giorno è stato scelto in ricordo di un disabile psichico di 22 anni, ucciso dalla madre che poi si è suicidata. Nell’ultima veglia a New York è stato dichiarato che, a livello nazionale, negli ultimi cinque anni più di 550 persone con disabilità sono state uccise dai loro genitori, parenti o caregiver.
Del figlicidio si è occupata anche la Runderman Family Foundation, l’organizzazione filantropica che si batte, sempre negli Stati Uniti come in Israele, per l’inclusione in tutti i campi di persone disabili e del trattamento della loro immagine nei media. Nel 2017 ha pubblicato un libro bianco sulla copertura mediatica dell’omicidio di persone con disabilità da parte dei loro caregiver. Nello studio hanno esaminato 260 casi di persone disabili uccise nel Nord America dai genitori, o da chi le aveva in carico, tra il 2011 e il 2016. La media è di circa un omicidio a settimana, con una stima molto prudenziale, considerando che la disabilità della vittima non sempre è resa pubblica. Nello studio si osserva anche che in genere l’interesse dei media è maggiormente attratto dal descrivere le figure degli omicidi piuttosto che delle vittime, che risultano quasi sempre drasticamente cancellate dalla storia. Si segnala come sia superficiale giustificare questo particolare omicidio con le difficoltà di gestire la disabilità, questo non contribuisce a dare soluzioni concrete al problema, anzi potrebbe far aumentare i casi invece che stimolare interventi concreti sulle politiche di sostegno.
So bene quanto parlare di tutto questo corrisponda a camminare sul filo di un rasoio. Nel luglio 2020 commentai per La Stampa il caso di un padre suicida dopo aver ucciso la figlia disabile, fui per questo segnalato da un’associazione al Consiglio di disciplina dell’Ordine dei Giornalisti (che mi dette però ragione). Ero stato accusato di “istigazione all’omicidio suicidio”; nella mia esperienza di genitore di un figlio autistico avevo solamente scritto che conoscevo tale pensiero nefasto, testimoniando che si affaccia ogni tanto nelle nostre menti
Nell’attuale euforia di restaurazione della famiglia naturale sarà sicuramente ritenuto blasfemo sollevare un problema simile, a fronte dell’idolatria di mamme e papà doc ancor più parrà indicibile ogni riferimento a genitori come potenziali assassini dei figli. È invece importante guardare dentro a questo buco nero proprio nel nostro Paese, in cui sembra stia gradualmente diminuendo l’attenzione sociale anche su questa categoria di famiglie fuori standard.
(pubblicato su La Stampa del 25/settembre 2023)