La neuro divergenza di Wittgenstein
Credo che patologizzare il genio e patologizzare le figure storiche sia diventata un’ossessione per noi ed anche i concetti di autismo (Tourette etc.) siano così dilatati da essere ampiamente abusati (Oliver Sachs, 2004)
Mi sono imbattuta in Wittgenstein per un caso. Stavo leggendo il saggio “Il dicibile e l’indicibile” di Ingeborg Bachmann e il suo ritratto mi aveva incuriosito. Non ricordavo di averlo studiato al liceo, perciò ho pensato che la lettura di un compendio online avrebbe potuto aiutarmi a colmare in parte la lacuna. Sono bastati pochi indizi riguardo la sua vita per spingermi ad approfondire ed essere risucchiata nella sua mente neurodivergente, nel suo particolare punto di vista da renderlo il più grande pensatore del Novecento.
Ludwig Wittgenstein nacque a Vienna il 26 aprile 1889 da una famiglia benestante. Il padre era uno degli uomini più ricchi al tempo, una fortuna accumulata prima nel settore dell’acciaio e poi nel mercato azionario. Ludwig era il minore di otto figli, quattro maschi (Hans, Kurt, Rudolph, Paul) e tre femmine (Hermine, Margarete, Helene). Il maggiore Hans era un prodigio musicale dal talento mozartiano; già nella prima infanzia era in grado di suonare il violino e il pianoforte, a quattro anni componeva. Il padre voleva che intraprendesse la carriera di capitano d’industria, cosa che non era nelle sue corde. A fronte delle tante accese insistenze e messo alle strette, Hans fuggì in America e ben presto se ne persero le tracce. Cosa sia accaduto, nessuno lo sa, l’ipotesi del suicidio è molto probabile. Purtroppo, non fu l’unico a fare questa scelta estrema. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Kurt si arruolò e sul finire del conflitto pose fine alla sua vita con un plateale colpo di pistola per l’ammutinamento dei suoi soldati. Del suicidio di Rudolph ne parlarono invece i giornali dell’epoca; come Hans abbandonò la famiglia per non sottostare agli obblighi paterni e andò a vivere a Berlino. Si racconta che entrò in un bar dove ordinò un paio di bicchieri per sé e un drink per il pianista, al quale chiese di suonare la sua canzone preferita: “Sono perduto”. Al termine dell’esecuzione inghiottì una pillola di cianuro. In una lettera ai suoi confessò di avere delle inclinazioni omosessuali.
Ludwig studiò a casa fino all’età di 14 anni, poi venne iscritto alla Realschule di Linz, ad indirizzo tecnico, che frequentò negli stessi anni in cui Hitler fu allievo. Dopo Linz, molto probabilmente dietro l’insistenza paterna, venne mandato a studiare ingegneria meccanica alla Technische Hochschule di Charlottenburg di Berlino.
La lettura di “Principi della matematica” di Bertrand Russell fu un evento fondamentale nella vita di Wittgenstein. Su spinta di Gottlob Frege si trasferì a Cambridge per seguire Russell. Nel 1913 lasciò l’Inghilterra e andò in Norvegia dove per più di un anno visse da eremita, studiando la logica e prendendo sempre più consapevolezza che l’analisi del linguaggio fosse l’unico obiettivo da percorrere. In questo periodo cominciò a prendere forma il Tractatus logico-philosophicus che verrà pubblicato nel 1922 dopo una serie di rifiuti.
Combatté nella Prima Guerra Mondiale; al termine si trasferì in Austria lavorando come maestro elementare, con l’obiettivo di insegnare la logica ai bambini. Licenziato per comportamenti intolleranti ed aggressivi verso quelli che non studiavano, ritornò a Cambridge come docente di filosofia al Trinity College.
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, abbandonò l’ambiente universitario per prestare servizio volontario in un ospedale londinese. Al termine della guerra, rinunciò all’insegnamento e si ritirò a vita privata. Morì a Cambridge il 29 aprile 1951.
Secondo gli psichiatri Michael Fitzgerald e Christopher Gillberg, Wittgenstein era nello spettro autistico (e forse anche suo fratello Hans). Ciò che ha portato a formulare questa ipotesi è stato un inanellarsi di evidenze ricavate dalla sua vita e dal racconto di chi lo conobbe ed ebbe a che fare con lui.
Wittgenstein ha iniziato a parlare a quattro anni; si dice anche che abbia balbettato all’inizio. Aveva un tono alto della voce e spesso interpretava male ciò che gli veniva detto, causandogli momenti di grande agitazione.
Come Beckett[1], anche Wittgenstein aveva difficoltà a sviluppare relazioni. Professore di filosofia a Cambridge, preferiva insegnare a gruppi ristretti di studenti esprimendo i propri pensieri ad alta voce, come una specie di monologo interiore, una prassi utile per chiarirsi le idee e ritrovare la calma.
La sua difficoltà a prendere rapporto con gli altri veniva spiegata dallo stesso Wittgenstein con la storia dei porcospini di Schopenhauer che, in un freddo giorno d’inverno, si raggrupparono per riscaldarsi, ma furono costretti a separarsi a causa degli aculei. La necessità li spinse a fare diversi tentativi fino a trovare la moderata distanza reciproca che consentì loro di scaldarsi senza farsi male. Lo stesso capitò con lui.
In campo sentimentale non andò meglio. Si innamorò, non corrisposto, di Marguerit Respinger, la quale non si accorse di nulla finché, un’ora prima del suo matrimonio, Ludwig non le confessò tutto.
Era totalmente concentrato sui propri interessi, soprattutto la filosofia. Il suo obiettivo era quello di produrre grandi opere che lasciassero un segno. Trascorreva gran parte del tempo a sistemare i suoi lavori filosofici e a trasferirli da un quaderno all’altro. Studiava senza interruzione, saltando il pranzo e la cena. In quanto al cibo, aveva dei gusti ristretti, spesso in relazione alla sua incapacità di interrompere ciò che lo interessava e lo faceva stare bene. Nella biografia di Norman Malcom, suo allievo, si racconta che la moglie gli offrì a pranzo formaggio svizzero e pane di segale, che lui apprezzò così tanto da essere l’unico pasto per giorni e giorni.
Wittgenstein era spesso in preda all’ansia e, quando accadeva di notte, andava a casa di Bertrand Russell e camminava per ore nella stanza parlando di filosofia, incurante della stanchezza di chi lo ascoltava. Ritrovata la calma, se ne andava così come era venuto.
Un altro aspetto frequentemente associato ai disturbi dello spettro è la depressione. Questa fu certamente una caratteristica dello stato d’animo di Wittgenstein. Alla fine del 1940, lo psichiatra Maurice Drury, che lo aveva in cura, lo mandò al prof. Norman Moore per una seconda opinione. Moore lo vide cinque-sei volte descrivendolo come un “uomo depresso e triste”, che era “abbattuto e cupo”.
Ci sono tutti gli indizi per approfondire lo studio, non per patologizzare il genio, ma per avere ulteriore conferma che, senza il punto di vista neurodivergente, molti aspetti del sapere non sarebbero stati approfonditi.
Noi sentiamo che, persino nell’ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati. Certo, allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta (Ludwig Wittgenstein)
[1] Quel tratto autistico in Samuel Beckett di cui poco si sa – Per Noi Autistici
Da Benedetta a Beckett – Per Noi Autistici
Gabriella La Rovere