Sistemato un autistico, Marina se accolla un altro
Vivo in un condominio con otto casette, tre davanti e quattro dietro. Andiamo tutti molto d’accordo, a parte quella a sinistra che è logorroica e che cerco sempre di evitare. La famiglia più giovane è quella di Ella e Sean, due giovani che hanno appena avuto il loro secondo figlio, tipo tre settimane fa. Il loro primo, Alex, è stato diagnosticato autistico l’anno scorso.
Ha quattro anni e ha due occhi così, scuri, impossibili da ignorare. Ella, che ha perso la mamma quando era ragazzina, spesso viene a confidarsi con me, un po’ come se fossi un surrogato materno.
Ha la lacrima facile e io anche, per cui spesso le nostre chiacchiere sono accompagnate da bottiglie di vino. Quando arrivò la diagnosi, era disperata. Mi venne ad abbracciare per cercare conforto e l’unica cosa che mi venne da dire fu: “Congratulazioni! Sarai una persona migliore grazie a lui!”
Lei si mise a ridere, ma il mio è un pensiero in cu credo profondamente. Da allora, la sento a volte discutere con Alex perché è ora di andare al centro, ma lui non vuole, o quando decide di stare sempre in casa anche nelle belle giornate di sole. Alex parla, sorride e ha anche tante crisi di pianto. Ogni tanto intravedo Ella e sembra stravolta.
L’altro giorno mi chiede di tenere la piccolina: “Voglio portare Alex a una festicciola in quella che sarà la sua nuova scuola a settembre. Potresti tenerla per un paio d’ore?” Io ero felicissima di stare con una neonata, ma un po’ perplessa per il fatto che a una festicciola in una scuola, piena di bimbi che stramazzano e genitori che parlano a voce alta, sarebbe probabilmente stato un disastro per Alex e per lei. Sono cose che si devono sperimentare sulla propria pelle per capirle davvero.
Ella e Alex tornano qualche ora dopo: Alex con un paio di cuffie alle orecchie per diminuire i rumori e lei in lacrime: “Non voleva stare con nessuno, si è messo in un angolo e l’unica cosa che voleva era il mio telefono per guardare i suoi video preferiti. È stato imbarazzante, soprattutto quando si è messo ad urlare perché avevo detto di no al telefono…non voglio vergognarmi di lui, ma è stato bruttissimo”. Io l’ho ascoltata e abbracciata. Ha ancora tanto da imparare, e Alex ha ancora tantissimo da farle capire. Le ho detto che lui ha fatto di tutto per spiegarti che era a disagio, che tutta quella cagnara per lui è assordante, gli fa proprio male. “Ti sta spiegando cosa vuol dire essere autistici, stella mia. Nient’altro”.
L’autismo, noi che lo conosciamo da più di vent’anni, orami è diventato come una seconda casa, le sue regole le conosciamo a memoria, sappiamo evitare situazioni che possono disturbare o stimolare tropo. Quante volte, pensavo, abbiamo anche noi fatto gli stessi errori di Ella, forse anche per cercare di scacciare questa diagnosi che in fondo non avevamo ancora accettato: sarà autistico, ma guarda come sta bene fra il casino! E quante volte ci siamo sentite ignorate dagli altri che sicuramente pensavano che i nostri figli fossero solo viziati o maleducati. Ma, ho detto a Ella, lascia che lui ti prenda per mano e ti spieghi bene. Le persone autistiche sono potenzialmente straordinarie, bisogna soltanto avere la pazienza di capirlo. Mia, la neonata, dormiva tra le mie braccia mentre cercavo di mettere in una bottiglietta quell’odore di neonati che mi fa impazzire.
MARINA VIOLA
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Marina Viola porta il quaranta di scarpe. Vive a Boston e ci fa il diario di quella che pensiamo essere l’ altra parte della luna. Che significa per noi autistici vivere negli Stati Uniti? Potete farle anche voi.