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Diritto al Malessere

Vivere nel malessere è un atto rivoluzionario? Possiamo anche metterla così, se ci piace. Non risolve alle radici alcun disagio, però convincersi che la neuro divergenza possa essere vissuta come una militanza di sicuro è una maniera certa per convivere con il prossimo, facendo pace con l’idea di avere un sistema operativo organico che induce a comportamenti considerati fuori standard. Sadagari (Sasha De Maria) traccia l’epica del percorso di scoperta, accettazione e diagnosi del suo autismo, lo fa nel suo primo libro attraverso lo strumento narrativo della graphic novel, tutta in bianco e nero, nel rigore arcaico dell’estetica ASCII, che, nel furore dell’A.I. generativa, corrisponde quasi a una scelta ascetica, un riesumare il linguaggio primordiale che precede ogni nostra evoluzione digitale, per segnalare l’indicibile.  

È una ricerca formale felicissima, che riesce a strappare dall’ovvietà dell’ennesimo coming out di una mente autistica. E’ un filone che sta cominciando ad essere inflazionato; a cominciare da Susanna Tamaro fino a una miriade di influencer, personaggini, gente famosetta e affamati di fama sembra essere scattato il via libera al pride del “ma quanto mi sento autistico, non potete immaginare quanto!”.

Mi prendo tutte le responsabilità di probabile capostipite di questa autofiction autistica, pubblicai in appendice a un mio libro la mia diagnosi e la risonanza del mio cervello. Tornassi indietro oggi non so se lo rifarei. Almeno dopo l’ingolfamento mediatico del “risveglio” autistico.

Sadagari però è assolutamente distante dalla tendenza “Harmony” del novellare autistico. Non c’è una virgola di auto compiacimento del suo diario listato a lutto, nulla solleva il sospetto della ricerca di una possibile “spendibilità” del suo essere consapevolmente divergente.

La lucidità del protagonista è il tratto più originale e interessante. La diagnosi non arriva confermare le radici del “malessere”, battezzandolo con un nome e una classificazione clinica. È semplicemente il porto d’armi, il documento che regolarizza la detenzione di un cervello diversamente calibrato, rispetto l’assegnazione d’ordinanza. È la scelta di radicarsi nella propria diversità che porta in dote la libertà, come espressione assoluta di ogni divergenza non mascherata, non dissimulata, non sentita come una colpa, un limite. L’eterno vulnus rispetto l’integrità che ostenta chi trova conforto e sostegno nell’essere prodotto in serie.

L’adolescente protagonista sa benissimo che potrebbe farcela senza fatica eccessiva, basterebbe fingere di essere come gli altri, ottenere risultati scolastici. “stringere i denti e fare come fanno tutti da sempre”, come recita l’eterno mantra dei genitori di ragazzi strambi.

Arriva quindi la proclamazione del proprio “diritto al malessere” con tutte le conseguenze che potrebbe comportare. È l’equivalente di un’illuminazione che apre alla palingenesi. Tutto quello che rappresentava un interrogativo del tipo: perché non piaccio? Perché mi sento fuori posto? Perché mi sento inutile? Smette di rappresentare una domanda che consuma, diventa piuttosto parte di un manifesto che proclama il proprio orgoglio per una mente difforme.

L’errore di chi non è stato mai lambito da un simile sentire ora sarebbe quello di pensare a un lieto fine. La consapevolezza affranca dall’angoscia, la diagnosi scioglie l’indecifrabile, non resta che vivere serenamente la propria esistenza da neuro divergente patentato.

Le cose non stanno così purtroppo, l’esistere socialmente impone pantomime continue, il problema del neurosviluppo che ci condiziona ci costringe anche a faticare ogni giorno per camminare lungo i binari dove ogni essere umano, amabile o detestabile che sia, ci permette di incontrarlo.

Il mondo che gira attorno ai cervelli ribelli, di ogni genere e tipo, continuerà sempre a viaggiare a scartamento ridotto, loro si sentiranno sempre costretti, compressi, stritolati rispetto alla potenziale espansione del loro universo più recondito.

Non si vivrà mai sereni nella condizione di esuli, senza il conforto del ricordo e della nostalgia di un mondo che non esiste, almeno nella realtà in cui è dato manifestasi. È questa la sintesi di ciò che leggo nell’ultima riga del punto più buio e profondo di questo autoritratto, dove dice: “e questa volta la parte migliore è non aver detto nulla di nuovo”. Per Sadagari comunque “repetita iuvant”.  Per un altro potrebbe essere l’espediente per prodursi nella stereotipia che rassicura. (La STAMPA Tuttolibri del 12/04/2025)

Gianluca Nicoletti

Giornalista, scrittore e voce della radio nazionale italiana. E' presidente della "Fondazione Cervelli Ribelll" attraverso cui realizza progetti legati alla neuro divergenza. E' padre di Tommy, giovane artista autistico su cui ha scritto 3 libri e realizzato due film.

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