Divergenti nella storia

Matthew Wong l’artista autistico suicida a 35 anni


Credo che ci sia una solitudine o una malinconia intrinseca in gran parte della vita contemporanea, e a un livello più ampio sento che il mio lavoro parla di questa qualità oltre ad essere un riflesso dei miei pensieri, fascinazioni e impulsi.

Matthew Wong (1984 – 2019) è stato un pittore geniale, assolutamente originale. Era autistico e con la sindrome di Tourette, il tutto complicato da fasi depressive molto gravi che lo hanno poi portato al suicidio.

Nato a Toronto, cresciuto principalmente ad Hong Kong, si stabilì a Edmonton poco più che trentenne. Si racconta che fosse un bambino con problemi comportamentali per i quali ricevette i migliori interventi dell’epoca. Si laureò in antropologia culturale all’Università del Michigan e nei successivi due anni fece una serie di lavori di ufficio, poco interessanti, che aggravarono la sua tendenza all’isolamento e alla malinconia. Durante una pausa dal lavoro, si ritrovò a scattare foto con il cellulare: cartelli stradali, scorci urbani, alla ricerca di una geometria, di un ordine rassicurante. Si iscrisse alla School of Creative Media dell’Università di Hong Kong allo scopo di acquisire una migliore formazione tecnica per la fotografia.

Il primo incontro con la pittura risale al 2011 quando era stagista per il padiglione di Hong Kong della Biennale di Venezia. Le opere di due artisti in particolare – Julian Schnabel e Christopher Wool – cambiarono radicalmente il suo modo di pensare. Fino a quel momento non gli era mai venuto in mente che la pittura potesse essere altro dalla semplice rappresentazione. Era affascinato da Van Gogh con il quale aveva molti punti di contatto. Cominciò a dipingere e disegnare seriamente nel 2013 usando la biblioteca e internet come strumenti per l’autoformazione.

All’inizio compravo un blocco da disegno economico insieme a una bottiglia di inchiostro e facevo un casino ogni giorno nel mio bagno, versando a caso l’inchiostro sulle pagine, schiacciandole insieme, sperando che ne venisse fuori qualcosa di interessante. Ben presto quella è stata l’unica attività che mi ha sostenuto nella mia routine quotidiana.

In relazione al processo creativo affermò: la maggior parte del lavoro viene svolto nei momenti di ozio quando sono a casa a sognare ad occhi aperti, o a guardare film e ascoltare musica, bere caffè o uscire a fare passeggiate che non hanno una destinazione o uno scopo in mente. Durante questi momenti intermedi mi capita spesso di avere rapidi lampi di immagini che appaiono dentro e fuori dai miei pensieri, che potrebbero essere modellati o innescati da qualcosa che ho visto o sentito nel mondo, un’opera d’arte che ho visto e sempre più opere che ho fatto in passato. Seguendo l’intuizione e le mie emozioni, mi dirigo poi verso lo studio e mi metto a elaborare in pittura questi vaghi scorci che ottengo. Il processo è improvvisato in quanto non faccio alcuno schizzo o pianificazione in anticipo. Il tempo effettivamente trascorso a dipingere è di natura meditativa.

La pittura rappresentò il suo migliore antidepressivo, il giardino segreto nel quale rifugiarsi ed essere felice. Dipingendo poteva evadere dal mondo esterno dove si sentiva incompreso, rifiutato, ridicolizzato. La vita attorno a lui era un inferno, tranne che per i momenti davanti a una tela.

Sono un po’ onnivoro per immagini, suoni, idee e sono sempre alla ricerca di prospettive che non avevo considerato prima.

I social media, soprattutto Instagram e Facebook, furono il mezzo principale per tenersi in contatto con il mondo esterno e gli altri artisti. Il critico Eric Sutphin raccontò che la pagina di Wong era un salotto virtuale con artisti, mercanti, curatori e critici che conducevano vivaci discussioni sulla pittura.

Nel 2019 Wong assaporò il successo. La sua prima mostra personale alla Galleria Karma di New York attirò l’attenzione di una potente coppia di critici d’arte: Roberta Smith e Jerry Saltz, che definì la mostra “uno dei debutti da solista a New York più impressionanti che abbia visto da un po’ di tempo.”

Matthew, che da sempre combatteva contro la depressione, aveva immaginato che il successo potesse stabilizzarla. Invece il suo nuovo status non fece che rendere la sua vita ancora più confusa, spingendolo a mettere in discussione la sincerità e le intenzioni dell’ambiente di cui aveva desiderato l’approvazione.

Gradualmente iniziò ad abbandonare la tavolozza esuberante di colori in favore di toni cupi. In un autoritratto a inchiostro, nasconde il suo viso dietro una maschera da hockey da film horror. Le scene notturne divennero la norma, i titoli si fecero più minacciosi. Osservando opere come Solitude (2018), una delle numerose, strazianti scene che raffigurano un sentiero che attraversa una foresta appena illuminata, è impossibile evitare una lettura psicologica. Quando realizzò See you on the other side (2019), uno dei suoi ultimi dipinti, sembrò avesse già preso una decisione. Quando gli venne chiesto di descrivere la sua vita fino a quel momento, disse: Sarei in grado di vivere la vita senza dipingere? Immagino che non lo sapremo mai. E, purtroppo, così è stato.

Gabriella La Rovere

gabriella la rovere

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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