Primo Piano

Ancora una madre che uccide figlia disabile e si uccide

Una donna di 78 anni ha strangolato con una corda la figlia disabile di 47 anni, poi si è impiccata. È accaduto a Corleone, la donna aveva perso il marito otto mesi fa, era rimasta sola a gestire la figlia autistica e con problemi di mobilità. La notizia è tutta qui.  

Quella madre era ben inserita nel contesto parrocchiale, i servizi sociali del Comune si erano attivati per sostenerla, i familiari andavano a trovarla. Nessuna responsabilità può essere attribuita quindi all’isolamento, alla latitanza istituzionale, all’indifferenza delle altre persone. Eppure è accaduto ancora, come anche troppe altre volte in queste pagine ho già scritto: un genitore attempato sceglie la disperata soluzione dell’omicidio suicidio, non riuscendo più a sostenere l’angoscia di quale potrebbe essere la sorte di quel fragile figliolo quando lui non potrà più tenerselo stretto addosso, come faceva al tempo di quando era bambino.

Non credo che sia stata una scelta dettata da un raptus improvviso, quanto piuttosto una via alternativa a un dolore sordo e insopprimibile, che probabilmente la soffocava da quando aveva realizzato di essere rimasta solo lei, unico caposaldo di umanità che illuminava di senso l’universo indecifrabile di una figlia. Mettere in atto una duplice sentenza capitale usando una corda, non si consuma in un attimo di disperazione. Richiede determinazione, forza, volontà indubitabile di saltare assieme alla sua creatura oltre quel buio che le avvolgeva.

Mi chiedo ogni volta che racconto un fatto simile se qualcosa o qualcuno l’avrebbe potuto scongiurare. A volte sembra ineluttabile quando l’isolamento del genitore figlicida e suicida è oggettivo e certificato. Mi attraversa la carne quella disperazione che conosco bene e che, come ogni padre, come me devo gestire ogni giorno, soprattutto ogni notte, quando i pensieri funesti prendono il sopravvento. Sembra sempre di non aver fatto abbastanza, manca sempre un pezzo, perché si possa pensare che quella nostra appendice fragilissima possa ambire a una vita per lo meno serena, se felice è chiedere troppo.

Ci sono poi contesti in cui sembra che tutto il possibile sia stato fatto perché l’angoscia del genitore potesse essere alleviata. A Corleone lei non era sola, erano presenti assistenti sociali, parrocchiani e parenti, è evidente però che ancora non basta. La ferita interiore di un genitore quotidianamente ossessionato dall’idea che il proprio figlio gli sopravviva ha bisogno di un intervento specifico, non bastano la bontà o la solidarietà.

Provo a descrivere ciò che attraversa ogni istante la mente di un genitore nelle condizioni della madre di Corleone; si tratta di un dolore cosmico, lancinante che non suggerisce soluzioni ma chiede solo di essere soppresso. Capita di immaginarsi come stato mentale confortante un eterno abbraccio con la persona il cui destino ci affligge, restare avvinghiati senza pensieri in una dimensione accogliente e addormentarsi. Questa sensazione ci accompagna sempre ed è il nostro compagno di viaggio più molesto. Il nostro senso di impotenza a dare completezza alla vita di un figlio fuori standard è uno stalker da cui non riusciamo a liberarci, forse proprio perché in fondo siamo noi a compiacerlo abbassando le nostre difese in una guerra che difficilmente vinceremo. I buoni propositi istituzionali sembrano sempre non tenere conto di quanto per noi il tempo scorra a velocità doppia, non è sopportabile, anche se ineluttabile, che solo tra anni inizieremo a capire chi di noi e in quale misura potrà usufruire di attenzione concreta in quanto caregiver, comunque andasse sarebbe solo un palliativo, il nostro male interiore è ben più profondo di ogni nostra indigenza economica. Non sono pochi soldi in più che ci impedirebbero di essere tormentati dall’idea di spegnersi con negli occhi una creatura che ancora ti tende la mano perché non ha altri punti di riferimento per decifrare il mondo. Non va sottovalutata la tentazione costante a farci boia dei nostri figli, non va relegata unicamente in comportamenti indotti da patologie mentali, depressioni e simili. È una tentazione serpeggiante che ci avvinghia la ragione, sempre di più con il passare degli anni. È un pensiero alieno che coviamo tutti dentro, qualcuno deve aiutarci a non farlo crescere.

(LA STAMPA del 7 dicembre 2025)

Gianluca Nicoletti

Giornalista, scrittore e voce della radio nazionale italiana. E' presidente della "Fondazione Cervelli Ribelll" attraverso cui realizza progetti legati alla neuro divergenza. E' padre di Tommy, giovane artista autistico su cui ha scritto 3 libri e realizzato due film.

Lascia un commento

Pulsante per tornare all'inizio