Pensare Ribelle

Il campione e il bambino. Oltre l'emozione di una foto.

campione e bambino

Il campione e il bambino. Una foto, uno scatto da lontano, nemmeno troppo a fuoco nel quale viene ripreso un campione di football seduto nel tavolone di una mensa scolastica di una scuola americana davanti ad un piccolo studente solo. Gira nei social, passa dai giornali nazionali ai quotidiani locali con questo titolo accattivante e romantico. Protagonisti della storia sono Travis Rudolph, ricevitore della squadra Florida State Seminoles e Bo Pasque, bambino autistico di 10 anni. E nella poesia di una foto da incorniciare c’è in realtà la tristezza di una quotidianità comune a noi autistici a tutte le latitudini.

Bo Pasque ha i capelli rossi e gli occhiali, nel nome e nell’aspetto ricorda il personaggio di un racconto fantasy, nella realtà è un bambino autistico che frequenta la Montford Middle Scholl di Tallahassee in Florida. Tutti i giorni mangia solo perché gli altri studenti non vogliono stare con lui, anche se la mamma dice che è dolcissimo e ha un abbraccio per tutti.

La scorsa settimana però davanti al piccolo Bo si è seduto un gigante, un eroe per i suoi coetanei, gli stessi che in quella sedia non vogliono mai stare: Travis Rudolph della Florida State Seminoles, la squadra di football in visita alla scuola.

Sembra così irreale che un conoscente della mamma scatta una foto per dimostrare anche a chi non c’era che è accaduto: Bo per un giorno non è stato l’emarginato, quello da non invitare alle feste, ma il più famoso della scuola. Illuminato dalla luce riflessa di chi gli sta davanti.

«L’ho visto da solo e gli ho chiesto se potevo sedermi con lui – ha raccontato il giocatore – la prima cosa che mi ha chiesto è se sono in NFL (il campionato professionistico Usa). Gli ho risposto “ancora no”. Abbiamo parlato della squadra (la Florida State Seminoles ndr) e mi ha detto che segue il football. Bo è una ragazzino in gamba.”

Non è la fiera della retorica dei sentimenti, anzi è un buon modo per fare luce su quel quotidiano silenzio nel quale ragazzi e famiglie vivono la frustrazione di una condizione che fa sentire diversi, emarginati, rassegnati, però è anche un’amara conferma. Servono i giganti per salvare i nostri piccoli eroi e quando questi se ne vanno, portando via la forza di comportamenti semplici e l’emozione di un momento, cosa rimane oltre una foto?

La mamma di Bo scrive su facebook parole che all’inizio appaiono incomprensibili e poi si sciolgono in una conclusione tenera e inquietante: «A volte sono grata per il suo autismo. Può sembrare una cosa terribile da dire ma in qualche modo la sua condizione può proteggerlo. Sembra che non si accorga quando le persone lo guardano mentre agita le mani, o quando non viene invitato alle feste di compleanno o quando nessuno vuole sedersi a tavola con lui. Questa è la mia preoccupazione quotidiana ma oggi non ho dovuto preoccuparmi di questo perché si è seduto di fronte qualcuno che per molti è un eroe ».

Bisognerebbe tornare in quella scuola, in quella mensa e vedere se ora sulla sedia del campione e su quella accanto a Bo si siede qualcuno. Se è bastato quel gesto a dimostrare che l’autismo non si contagia, che stare vicino a chi ne è affetto è semplice e può persino arricchire chi lo fa.

La signora Lea Pasque si è detta una mamma straordinariamente felice grazie a questa foto, una dichiarazione che tradisce quanto sia straordinariamente triste e sola.

Aspettiamo altri campioni illuminati o speriamo che cambino teste e sensibilità dei cosiddetti normali?

 

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