Quando arriva la fatale adolescenza dell'autistico
Ho molte amiche che hanno un figlio autistico e che adesso stanno vivendo un momento difficile. La fase adolescenziale è una delle tante forche caudine che siamo costretti ad attraversare. Vale sia per il genitore che per il figlio. È stato così da sempre ed è una situazione universale. È questo il periodo in cui la madre di un ragazzo autistico entra più facilmente in crisi.
Il testosterone ha come effetti l’aumento della massa muscolare, la comparsa dei caratteri sessuali secondari, il miglioramento della circolazione (aumento dell’emopoiesi), la produzione degli spermatozoi e, non meno importante, l’aggressività. Molti genitori dimenticano di aver attraversato lo stesso periodo, di essersi scontrati dialetticamente con i propri genitori, di aver addirittura scelto di vivere lontani da casa.
La ribellione è espressione del formarsi di un’identità nuova, totalmente separata da quella del genitore di riferimento. È un evento biologico assolutamente naturale, il primo passo verso il costituirsi di un altro gruppo familiare.
Questo sconvolgimento emozionale ha un effetto devastante su un ragazzo autistico che risponde alle fluttuazioni ormonali con nervosismo, aggressività verso se stesso e gli altri. La madre è generalmente il capro espiatorio per antonomasia perché la figura più presente nei primi anni di vita di un bambino con o senza sindrome autistica. È il referente principale per alimentazione e cura.
Il suo ruolo di madre, che la pone sul trono genitoriale, la rende anche più fragile davanti al cambio di comportamento del proprio figlio. Perché fai questo proprio alla tua mamma che ti vuole bene, che ha fatto tutto questo per te? è una delle frasi che da sempre vengono pronunciate o lasciate intendere con la meta comunicazione. Di solito la risposta è un vaffanculo detto nelle maniere più varie. E questo vale anche per un ragazzo autistico.
La madre, come femmina, entra facilmente nel giro vizioso dell’autocommiserazione non smettendo mai di dispensare sensi di colpa a 360°, alimentando ulteriore nervosismo. È giunto il momento di fare un passo indietro e di affidare il figlio autistico alle cure dell’altro genitore, alla figura maschile di riferimento . In assenza di autismo il figlio avrebbe intrapreso da solo questa strada, la più logica, quella ontologicamente determinata. Questo non significa uscire di scena ma delegare un impegno così pesante alla figura paterna (quando presente), all’educatore, a qualsiasi altra persona con la quale c’è una buona comunicazione e che manifesta autorevolezza. C’è bisogno del capobranco che stabilisce delle nuove regole, quelle della vita adulta.
I nostri figli crescono, a dispetto dell’autismo. È un concetto che dobbiamo imparare.