Anche noi autistici siamo una parte di mondo
Gabriella oggi mi manda un suo articolo sibillino…Sembra che mandi messaggi trasversali a lei sa chi. E’ evidente che ha avuto a che dire con qualcuno che non era d’accordo con la nostra maniera di raccontare l’ autismo quotidiano. Gabriella non mi dirà di chi si tratti nemmeno sotto tortura, ma le sono grato di una così generosa difesa del nostro lavoro comune…Non posso negare che mi fa un po’ ridere e anche un po’ amarezza però pensare che quello che facciamo possa dare fastidio a chi ha problemi simili ai nostri…(gn)
Sui social sono frequenti le frasi ad effetto che si alternano alle foto di cuccioli di cani e gatti incorniciate da cuori, fiori e fate scintillanti. Tra le massime più gettonate che ne è una che vive alterni momenti di popolarità:
“La disabilità non è un mondo a parte ma una parte di mondo”
Nonostante siano passati più di dieci anni dalla nascita di Facebook, lanciare questo post nella rete produce ancora emozione con una pioggia di mi piace, cuori, facce indignate e condivisioni. Se andiamo ad analizzare bene la frase, non smettiamo mai di darci la zappa sui piedi ed essere i primi ad isolarci. La persona con disabilità non è una parte di mondo ma è parte del mondo, è il mondo stesso, senza di lei l’intera comunità sarebbe deficitaria di qualcosa.
Le dinamiche che si sviluppano nella rete, e che sono un esempio da moltiplicare enne volte, sono universali senza alcuna distinzione tra disabili e non. Le spinte emotive che le determinano fanno parte dell’uomo. Tra queste, quella che crea più sconcerto è la sottile invidia che si insinua nelle frasi che, a varie ore della giornata, vengono lanciate nell’etere. Lo stupore deriva dall’errata convinzione che i genitori con figli disabili siano dei santi travestiti da altro. No, sono semplicemente dei genitori, pronti a difendere quello che viene considerato superficialmente uno scarso risultato del figlio con la commiserazione oppure con il discredito dell’altro. Quest’ultima reazione è la più antipatica perché corredata da insinuazioni, spesso al limite della calunnia. Nel novero delle esperienze in questi 25 anni con mia figlia, posso aggiungere anche queste.
I nostri figli sono il risultato dell’impegno che abbiamo dedicato. Questo vale per tutti e, seguendo le stesse linee evoluzionistiche, la risposta dipende da una serie di fattori tra i quali la genetica. Su questo non possiamo farci niente se non maledire i nostri antenati.
Altro elemento casuale e democratico è la nascita. Molti sono i vip che hanno un figlio con disabilità, ma pochi lo ammettono per paura che la carriera venga appannata e per evitare spiacevoli situazioni. Gianluca Nicoletti è stato il primo a mettere in piazza il suo privato e grazie a lui si è cominciato a parlare di autismo in radio e televisione. Trovandosi di fronte a genitori sfiniti e disillusi dopo anni di lotte, ha pensato bene di usare la sua professionalità, oltre che notorietà, per indurre un cambiamento.
Il prossimo 2 aprile uscirà il film “Tommy e gli altri” e già la rete ha partorito considerazioni impastate di livore. In novanta minuti Gianluca ha voluto documentare la situazione di alcune famiglie in Italia, ha fatto una scelta narrativa privilegiando delle storie rispetto ad altre. “Tommy e gli altri” è un documentario sull’autismo come ce ne sono tanti nel panorama cinematografico mondiale.
Le nuove tecnologie consentono di girare video, di fare dei montaggi casalinghi usando programmi molto semplici. L’energia profusa per denigrare, commentare con acrimonia, potrebbe essere meglio impiegata realizzando altri prodotti comunicativi che raccontino la disabilità da un altro punto di vista. Non mancano casi di filmati che hanno avuto grande risonanza con il passaparola fino a ottenere premi prestigiosi.
Purtroppo è proprio questa divisione genitoriale sempre statica che avvalora la frase “la disabilità è una parte di mondo”