Benedetta si fa bella con il laser e Gabriella riflette sul caregiver
“Questi sono degli accumuli di grasso…la mia mamma poi me li toglie con il laser!” Questa risposta veniva data da Benedetta a tutti quelli che, un po’ impressionati, le chiedevano cosa fossero quelle formazioni carnose che aveva sul viso e, soprattutto, se fossero contagiose. Essere doppiamente discriminate non è stato facile per entrambe. Il suo totale abbandono alle cose che le ho detto in risposta a domande più che legittime, l’ha protetta da sguardi e frasi allusive che noi genitori conosciamo fin troppo bene.
Qualche mese fa mi ha chiesto di fare piazza pulita di tutti gli angiofibromi presenti. Per me è stato un grande giorno perché ha significato una sua precisa scelta. La determinazione a farlo l’avrebbe aiutata nei momenti di paura prima dell’intervento. Nei giorni precedenti le ho spiegato tutto l’iter e cosa sarebbe successo subito dopo. Parole dette e ridette un centinaio di volte con lei che le ripeteva come un mantra.
Benedetta non è nuova agli interventi chirurgici. Ricordo ancora con terrore l’intervento di allungamento del tendine di Achille che l’ha costretta al gesso per venti giorni senza poter appoggiare il piede. Al risveglio dall’anestesia si è consumata una scena da un film horror con lei che sbatteva il gesso per ogni dove mentre schizzi di sangue imbrattavano muri, pavimento e lenzuola. Le altre occasioni sono state più o meno simili. La magica pozione che la trasforma in un mostro senza freni inibitori è l’anestesia, o meglio, la presenza di benzodiazepine nel mix. Essendo un intervento in day hospital ho pensato che questo farmaco non fosse presente privilegiando associazioni a più breve emivita. Ho pensato, per l’appunto! Non c’è stato tempo per parlarne con il collega perché impegnata a trasferire a Benedetta sensazioni positive e di tranquillità. Lei leggeva pagine e pagine del libro di Harry Potter rimanendo ben vigile a tutto quello che capitava.
Se l’effetto in una bambina di 12 anni è stato quello di distruggere ogni cosa, in una giovane donna di quasi 25 anni la reazione è stata la messa in scena del conflitto madre-figlia. Lungo i corridoi dell’ospedale ho faticato non poco per evitare che insultasse tutti quelli che la guardavano. Cosa che quotidianamente le capita di subire ma che la coscienza, anche in lei che è disabile, controlla con le buone maniere e l’educazione. Messa in macchina e dirette verso casa c’è stato il secondo round. Lei ha vomitato quello che pensa di me, di come io possa essere una rompiscatole dicendole quello che deve e non deve fare. Una rivelazione! Dopo tre ore era tutto finito e lei è tornata ad essere la ragazza che tutti conosciamo.
Ogni genitore con figlio disabile sa perfettamente che l’intervento chirurgico è solo l’inizio di un’impresa ben più faticosa: il post-operatorio. E nel caso specifico, vuol dire fare in modo che non si tocchi le parti trattate togliendo le croste. Cosa che è puntualmente accaduta. Basta un momento di distrazione, il tempo necessario per preparare il pranzo ed ecco che tutti gli sforzi ripartono da zero.
Lo sconforto è parte della vita di un genitore, quello con figlio disabile lo sperimenta più volte del necessario. Hai speso più delle energie umane possibili per affrontare la fase acuta, e cioè l’ospedalizzazione e l’intervento chirurgico, e ti viene richiesto un ulteriore sforzo per le due-tre settimane successive. È assurdo pensare che un essere umano possa riuscire nell’intento.
In questi giorni si sta consumando la diatriba sul caregiver famigliare che, come tutte le situazioni che riguardano il popolo della disabilità, si sta risolvendo in una querelle con lancio degli stracci. Il genitore che si occupa del figlio disabile svolge un lavoro usurante fisicamente e psicologicamente. Lo fa al meglio ma questo comporta la perdita del lavoro, delle amicizie, dei contatti umani. Si è soli, maledettamente soli. Mai come in questo momento è necessario essere uniti per portare avanti una battaglia di semplici diritti che alla fine porta anche ad un abbattimento dei costi del sociale. Lo Stato spenderebbe meno a pagare un caregiver che a tenere il disabile in una residenza protetta. Un genitore sa cosa è meglio per il proprio figlio e lo fa spendendo ogni energia e parte, se non tutto, il proprio conto in banca. Nessun centro o istituto avrebbe la stessa cura che è il semplice amore.
Gabriella La Rovere