Alla vittoria dell'Estense seguiranno stupefacenti azioni di dissoluta allegrezza
Il libro di Tommy ha vinto il Premio Estense. E’ il più importante riconoscimento per la saggistica italiana, è assegnato a giornalisti che fanno convergere in un libro un momento della loro attività professionale. Io faccio il giornalista esattamente da trent’anni (a ottobre festeggio la ricorrenza), di premi ne ho presi in passato (Premiolino, Sain Vincent, Guidarello ecc), ma passata la festa non ci pensavo più. (Vedi cronaca su Il Resto del Carlino ; Telestense ; La Stampa )
Questa volta però è stato tutto diverso. Il premio non l’ho vinto io, tanto per cominciare, ma l’ha vinto Tommy. Potrei aver girato il mondo dieci volte e aver raccontato segreti, misteri, guerre e rivoluzioni, ma il premio più importante me l’hanno dato quando ho raccontato la mia giornata, a casa mia, parlando di mio figlio che non parla.
Ancora di più sto pensando che il vero premio è essere riuscito di aprire a chiunque la discussione sul punto di vista delle famiglie con autistici in casa. Oltre al parlare dei “bambini autistici”, veramente poche persone si sono mai chieste che accada a questi bambini, una volta cresciuti. Per lo meno chi si applica a questa riflessione sono gli addetti ai lavori, i diretti interessati, la piccola porzione delle amministrazioni che sono distrattamente coinvolte.
Ora invece mi sono accorto che il problema può essere portato all’ attenzione di tutti, persino di quelli che non ne sono stati mai nemmeno lambiti. Per farlo era necessario scrivere senza filtri, ma con la volontà assoluta di essere totalmente spudorati nel raccontarsi. Il libro l’ ho scritto in tre settimane, quando rileggevo alla mattina quello che avevo scritto la notte pensavo che forse sarebbe stato meglio togliere, ammorbidire, tralasciare. Invece ho lasciato tutto. Oggi non mi pento di aver messo in gioco, con molto rischio, oltre a me, mio figlio e il resto della mia famiglia. E’ valsa la pena se altre persone con il mio problema possono con serenità parlarne, proprio perché tanto è stato già tutto scritto in un libro.
Un senso tutto questo l’ha. Me ne sono accorto osservando dal monitor le discussioni dei quasi cinquanta giudici dell’Estense che parlavano tra loro prima di ogni votazione. Potevo seguire ogni battuta perché, proprio per l’unicità di questo premio, le votazioni e le discussioni che le precedono sono trasparenti e chiunque può seguirle da una saletta attigua video collegata alla giuria che opera.
Sono state le argomentazioni dei giudici popolari che mi hanno convinto che un libro sull’ autismo in famiglia sia stata una mossa giusta. Si trattava di comuni cittadini di Ferrara, assortiti per età e professione. Le loro argomentazioni, nate dalla lettura del libro, sono state lo specchio più veritiero del sentire generale nel nostro paese riguardo l’ autismo e la disabilità psichica in genere. Persino dalle parole della giurata che più mi ha avversato ho capito molte cose… Si trattava di una dirigente scolastica, che trovava limitante la mia lettura sul rapporto tra disabili e scuola (posso capirla), ma che soprattutto individuava come limite del libro alcune mie astuzie stilistiche, insomma secondo lei il libro aveva il limite di spingere sull’emotività. Un’altra giurata (giornalista) ha ribattuto che lo strumento stilistico è la parte essenziale della mediazione di un pensiero sull’attualità, sono naturalmente d’accordo, ma non c’ avevo mai pensato. Il mio mestiere è mediare la realtà, raccontarla. Lo faccio con la parola, con la scrittura, con le immagini. Tanto più io riesco a usare la suggestione di tutte queste modalità di racconto, tanto più riuscirò a coinvolgere persone sull’argomento che oggi ho più a cuore.
Per questa ragione io penso che la strada giusta per raccontare l’ autismo sia mettere da parte mestizia, rassegnazione, facce da suora e mortificanti convegni di fantasupercazzole. Sono vecchi cascami per trattare la disabilità, servono solo a far passare il tempo a chi non ce la fa a uscire fuori dal proprio nascondiglio di vergognosa clausura.
E’ necessario che si inizi a raccontare l’ autismo usando lo strumento dello stupore. Occorre mettere in campo atti stupefacenti.
Questo lo hanno fatto gli amici che si sono inventati la fantastica e folle “Cavalcata degli autistici”, l’ ho fatto io con Tommy mettendo allo scoperto lo scassamento quotidiano del doversi portare dietro un gigante irrequieto. Spero di vederne molte altre di stupefacenti azioni di dissoluta allegrezza.
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Ps
Le colleghe del blog del Corriere della Sera “La”27ora”, anche loro finaliste all’ Estense, hanno ospitato un mio pensiero sulle madri degli autistici nel loro spazio d’ opinione. Sono a tutte loro molto grato!