Pensare Ribelle

Marina e la sua lezione di #2aprile


Sinceramente a me del 2 aprile non frega assolutamente nulla: l’autismo lo vivo ogni minuto dell’anno e la retorica di chi non lo conosce sparata a destra e a manca in televisione alla ricerca della lacrimuccia mi fa venire la nausea.

Ma quest’anno mia figlia Emma, che è in quinta elementare, mi ha chiesto di andare alla sua scuola e parlare di suo fratello Luca. Ho pensato che forse la sua sarà una generazione più tollerante della nostra. In fondo crescono con tante persone diverse attorno a loro: con un colore della pelle diverso, una religione diversa, una lingua diversa, e forse sono più aperti di come lo eravamo noi. Ma soprattutto per una volta Luca era l’eroe di Emma, il fratello di cui andar fiera.

Sono arrivata alle 10:45 e la mia prima domanda è stata: “Sapete chi è Martin Luther King? O Malala?” Lo sapevano tutti: leader di gruppi discriminati, come i neri e le donne, che hanno voluto insegnare alla società che tutti hanno gli stessi diritti e che la diversità è soltanto un muro nella nostra testa. Ecco, anche le persone disabili sono discriminate, ho risposto, ma non hanno un leader da seguire e fanno fatica a creare un movimento di sensibilizzazione, per cui la strada per loro è ancora molto lunga.

“Disabilità: cosa significa? Semplicemente non essere abile nel fare certe cose. Chi di voi sa guidare, farsi gli spaghetti da solo? Farsi il bucato? Nessuno? Ho una bella notizia per voi: siamo tutti a modo nostro disabili!”.

Ho poi spiegato della difficoltà di comunicare e la difficoltà di capire le regole sociali che le persone autistiche incontrano. Come insegnare loro a imparare a vivere nella nostra società, se non sanno che non si può andare in giro senza mutande o che bisogna stare zitti al cinema? Dopo tanti esperimenti, si è scoperto un metodo che sembra funzionare: ABA, che invece di punire quando si sbaglia, si premia quando si fa giusto.

Per spiegare bene il concetto, ho chiesto a una insegnante di uscire dalla classe, e ho detto ai ragazzi che le chiederò di andare in piedi sulla sedia, ma in italiano, lingua che lei non parla, e che ogni volta che fa una cosa giusta, le darò un dolcetto, così lei capisce di essere sulla buona strada.

L’esperimento è riuscito bene: io le dicevo “Fai tre passi in avanti” e la maestra mi guardava con occhi sbarrati, e quando ha fatto un passo verso di me le dicevo ”BRAVA!” e le davo un dolcetto.

“Fai altri due passi!” Dolcetto.

“Adesso gira a sinistra”. Dolcetto,

“Avvicinati alla scrivania”, Dolcetto,

“Sali in piedi sulla scrivania”, Dolcetto.

Ci ha impiegato una decina di minuti, e quando era in piedi sulla cattedra i bambini le hanno applaudito con gioia!

Le domande sono state tante e tutte molto interessanti. Una bimba ha chiesto cosa del fatto di avere un figlio come Luca mi spaventa di più. “La sua vulnerabilità”, le ho risposto senza neanche pensarci, “e la paura che la società continui a rigettarlo. Per questo sono venuta a parlarne con voi”, ho aggiunto, “perché anche voi scopriate, come ho fatto io, che le persone che sono diverse dalla norma hanno tanto da insegnarci”. L’insegnante mi ha chiesto il modo migliore di combattere il disagio che si prova  quando si incontra per la strada una persona che si comporta diversamente dagli altri. “Si ricorda quanto era strano vedere una coppia di razze diverse? O due uomini che si tengono la mano per strada? O un presidente nero? Ecco, la stessa cosa vale con le persone come Luca: bisogna arrivare a fare in modo che la loro presenza diventi normalità”.

Non ho detto che Luca sabato sera si è fatto la cacca addosso, che è come dover badare a un bimbo di tre anni anche se ne ha ventuno, che l’autismo è difficilissimo da gestire, perché sapevo che per Emma sarebbe stata un’umiliazione, e ho pensato che in fondo anche io sono caduta nella trappola degli autistici angelici che ci mostrano in televisione il 2 aprile.

Poi un ragazzino alza la mano e chiede: “I dolcetti rimasti possiamo mangiarli noi?” Certo, gli ho detto, e sono tornata a casa con un bel sorriso sulle labbra, anche se i dolcetti avrei voluto portarmeli a casa io.

Sarà per l’anno prossimo.

Marina Viola

marinaliena

Leggi Pensieri e Parole, il mio blog:
http://pensierieparola.blogspot.com
Marina Viola porta il quaranta di scarpe. Vive a Boston e ci fa il diario di quella che pensiamo essere l’ altra parte della luna. Che significa per noi autistici vivere negli Stati Uniti? Potete farle anche domande….

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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