Cosa fare

Perchè un Dirigente Scolastico a Bologna non vuole che si parli di autismo nel suo liceo?

Ci scrive la madre di un ragazzo autistico che frequenta un liceo della provincia di Bologna. Il neuropsichiatra che segue il ragazzo aveva proposto un incontro con la classe per spiegare ai compagni cosa fosse la neurodiversità. Progetto che aveva incontrato il favore degli insegnanti, delle altre famiglie e dello psicologo della scuola. Di parere contrario è però il dirigente scolastico che si oppone e al massimo concede una chiacchiera generica sulla diversità. Perchè a questo professore fanno tanta paura i “Cervelli Ribelli”?  Non sa che il MIUR, Ministero da cui dipende, un anno fa ha organizzato un tour informativo nei licei d’Italia con il preciso scopo di diffondere cultura sulla neurodiversità? Più di 5000 studenti hanno assistito al nostro film “Tommy e gli altri” e hanno dibattuto sul tema con il sussidio di un KIT DIDATTICO che è on line anche a sua disposizione. Nel caso cambiasse idea noi siamo qui a supportare quella famiglia e qui ragazzi che avrebbero voluto saperne di più. 


A chi fa paura parlare di neurodiversità in classe? 

300 studenti di licei milanesi che partecipano alla proiezione di “Tommy e gli altri” e al dibattito sulla neurodiversità

Sono madre di un ragazzo Asperger che ha avuto un percorso diagnostico lungo e intralciato da una serie di valutazioni errate, che si è concluso tardi (aveva quasi 15 anni ) ma che fortunatamente si è concluso. Così finalmente la diagnosi è arrivata, come un bengala in una notte buia, dando forma e colore a tante cose. Ma non è della sua storia che voglio raccontare.

Mio figlio frequenta la terza classe di un liceo scientifico con indirizzo scienze applicate di un Istituto Comprensivo della provincia di Bologna. Una classe guidata da un gruppo di ottimi insegnanti, molto disponibili, aperti e comprensivi. Una vera risorsa.

Insegnanti che si sono trovati, per coincidenza, ad avere nella stessa classe ben due ragazzi diagnosticati con sindrome di Asperger (o forse sarebbe meglio dire disturbo dello Spettro Autistico livello 1 senza problemi intellettivi e di linguaggio, se vogliamo attenerci al DSM-V).

Oltre a mio figlio infatti nella classe c’è un altro compagno, diagnosticato anni prima del mio.

Considerata la coincidenza, e considerato il fatto che i rapporti fra compagni neurotipici e neurodiversi a questa età, dove già la relazione è complessa, non sono sempre facili, e ritenendo opportuno sensibilizzare i ragazzi all’alterità, agli altri modi di essere, ai molti modi di essere “capaci”, gli insegnanti hanno prontamente accolto la proposta fatta dalla neuropsichiatra che segue mio figlio: un intervento in classe per spiegare cos’è la sindrome di Asperger. Tutto il corpo docente si è dimostrato entusiasta all’idea di avere una neuropsichiatra esperta che intervenisse e spiegasse (anche agli insegnanti stessi, non solo ai ragazzi) il mondo degli Asperger, le loro difficoltà, le loro potenzialità, il loro essere talvolta incompresi, fraintesi, non visti. Il loro sentirsi alieni sulla terra.

Gli insegnanti l’hanno considerata inoltre un’occasione anche per parlare dei rapporti fra pari in generale, perché le difficoltà relazionali dei ragazzi, al di là di quelle specifiche degli Asperger, ad oggi sono sempre più in aumento.

Quindi tutto organizzato. Famiglie d’accordo, alunni d’accordo, data fissata. Si era parlato anche di un video d’apertura, con spezzoni di film e serie tv. Per rompere il ghiaccio. Io ero contenta e incredibilemente stupita, per tanta ricchezza di idee.

Però il dirigente scolastico ha detto no. No, perché deve essere lo psicologo della scuola a fare l’intervento. Non un neuropsichiatra esterno.

La coordinatrice ovviamente tenta il possibile per convincerlo, visto che pare non esista nessun regolamento vincolante a riguardo, ma niente da fare. Dirigente irremovibile.

A questo punto la coordinatrice interpella lo psicologo della scuola, il quale accoglie egli stesso con interesse, e anche con entusiasmo, la questione e accetta di porsi da intermediario, proponendo di fare l’apertura dell’intervento e di presentare poi alla classe l’esperto esterno, cioè la neuropsichiatra. Lo psicologo quindi presenta la proposta al dirigente, il quale continua a rispondere no.

L’intervento lo farà solo lo psicologo della scuola e parlerà della diversità, in generale. Ed è anche preferibile, come mi è stato fatto capire, non insistere, non cercare nemmeno di richiedere un colloquio esplicativo. Meglio lasciare stare…

E così, nonostante la delusione degli insegnanti, mia, di mio marito e di mio figlio, è andata come voleva il dirigente. E senza neanche avere chiaro il perché. Senza una spiegazione alle famiglie, ai ragazzi.

Quando ho chiesto a mio figlio di cosa aveva parlato lo psicologo in classe, ha risposto che aveva parlato molto in generale della diversità. Peccato non si sia parlato anche di noi, mi ha detto.

Quale diversità? E cosa vuol dire, diversità? E quante diversità ci sono? E perché parlarne in questi termini, vaghi e nebulosi? Sono certa che lo psicologo abbia fatto un buon intervento, che si sia dimostrato preparato, ma ho l’impressione che sia stato un intervento, suo malgrado, pilotato e censurato.

Perché non si può parlare di autismo in una classe? Fa così tanta paura? Perché non si può raccontare ad un gruppo di ragazzi anche cosa significa spettro autistico , e partire proprio da loro per informare, far conoscere, divulgare, visto che ancora c’è tanta disinformazione, a volte persino tra esperti, pediatri e psicologi.

Perché non spiegare ad un gruppo di ragazzi, che frequentano oltretutto un indirizzo scientifico, e che magari potranno essere futuri medici, neuropsichiatri, ricercatori, cosa sono i neuroni specchio, e quali sono i processi neurologici che permettono di relazionarci agli altri, e il fatto che questi processi, talvolta, funzionano seguendo sistemi operativi semplicemente differenti?

Io non ho paura di parlarne, e andrei io stessa in classe a farlo, con i miei pochi strumenti, con le mie conoscenze da autodidatta. E direi, sì, è così. L’autismo c’è. E non tutti gli autistici sono geni matematici come Turing, non tutti hanno una memoria eidetica, o sono esperti di astronomia. Insieme all’autismo esistono anche sofferenza, smarrimento, frustrazione, impotenza, e sono questi i sentimenti che attanagliano le famiglie tanto più in difficoltà, rispetto alla mia.

Non ho paura di parlare di autismo, ho paura dell’ignoranza e dell’ottusità. Perché esse sono uno strato di gesso che si deposita sull’autismo, facendone un calco liscio e uniforme, e nascondendone i suoi mille aspetti.

Una piccola storia a cui nessuno risponderà. Ma scriverla, è stato di grande importanza, per me.

Una madre di un ragazzo nello spettro autistico

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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