La figlia disabile mentale fu per 30 anni il segreto del premio Nobel Pearl S. Buck
Siamo agli sgoccioli del 2018, un anno di ricorrenze importanti: i 100 anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale e dalla terribile epidemia di spagnola che colpì anche la mia famiglia, per fortuna senza conseguenze mortali; i 150 anni dalla morte di Gioacchino Rossini, i 220 anni dalla nascita di Giacomo Leopardi e gli 80 anni dalla consegna del Nobel per la Letteratura a Pearl S. Buck, scrittrice nota per i romanzi ambientati in Cina dove trascorse parte della sua vita. Unico libro ancora inedito in Italia è “The child who never grew” che invece meriterebbe la giusta diffusione per i sentimenti contrastanti di madre di una figlia disabile e di donna volitiva alla ricerca di perfezione.
Quarta di sette figli, Pearl nacque a Hillsboro in West Virginia. Quando aveva solo tre mesi i genitori, che erano missionari presbiteriani, si trasferirono a Zhenjiang, città cinese alla confluenza tra il Fiume Azzurro e il Grande Canale Imperiale. Nel 1910 ritornò negli Stati Uniti per studiare letteratura inglese; dopo la laurea le fu offerta una cattedra che rifiutò per ritornare in Cina ad assistere la madre gravemente ammalata. Dopo la sua morte, scelse di rimanere lì come insegnante di inglese in una scuola di Zhenjiang. Incontrò John Lossing Buck e, dopo un breve corteggiamento, si sposarono nel 1917.
Nel maggio 1920 nacque Caroline Grace, chiamata semplicemente Carol. Successivamente la scrittrice affermò che non c’era niente nella storia della sua famiglia che potesse far pensare che la figlia sarebbe stata una ritardata mentale.
Ricordo che dissi all’infermiera: “Non sembra molto saggia per la sua età?”Aveva meno di un’ora di vita. Ricordo che aveva tre mesi e giaceva nel suo piccolo cestino sul ponte di una nave. L’avevo portata lì per prendere l’aria del mattino mentre viaggiavamo. Le persone che passeggiavano sul ponte si fermavano spesso per guardarla e il mio orgoglio cresceva mentre parlavano della sua insolita bellezza e della intelligenza dei suoi profondi occhi blu.
La consapevolezza che qualcosa non andava cominciò ad affacciarsi verso i tre anni. A differenza dei coetanei, la bambina non parlava e i suoi movimenti erano poco coordinati. Spaventata, Pearl si rifaceva alle storie di amici e vicini di casa i cui figli erano stati lenti nel parlare e camminare. All’epoca non si sapeva niente della fenilchetonuria, di cui era affetta Carol, e sarebbero dovuti passare decenni prima che l’eczema persistente della bambina, che lei cercava di trattare con succhi di verdura e frutta, venisse considerato uno dei segni diagnostici della malattia.
Quando Carol ebbe quattro anni, non poté più ignorare le sue paure. Una psicologa americana, che stava tenendo delle conferenze sullo sviluppo del bambino, la indusse ad aprire gli occhi.
Parlai con la docente che mi indicò i segnali di pericolo che non avevo visto o che avevo evitato di vedere. Il tempo di attenzione della bambina era molto breve, molto più di quanto avrebbe dovuto essere. La maggior parte delle sue corse leggere non aveva uno scopo, era semplicemente del movimento. I suoi occhi, così puri nel loro blu, erano vuoti quando uno guardava nelle loro profondità. Non mantenevano lo sguardo né rispondevano. Erano immutabili. Qualcosa era molto sbagliato.
Furono consultati altri medici e alla fine decise di portare Carol negli Stati Uniti per ulteriori accertamenti. Dopo una visita alla Mayo Clinic fu tutto ben chiaro. Per qualche motivo ancora sconosciuto, la mente della bambina aveva smesso di crescere, era irrimediabilmente ritardata. Un medico le disse di non illudersi sul potenziale cognitivo di Carol e le consigliò di trovare un posto dove la bambina potesse essere felice, lasciarla lì e continuare a vivere la propria vita. Ritornata in Cina, mantenne la figlia nascosta agli occhi della gente, scongiurando gli amici di non farne parola.
Non è del tutto una vergogna, ma qualcosa di privato e sacro, come deve essere il dolore. Sono dolente al tatto e non posso sopportare neanche il tocco di simpatia. Il silenzio è migliore e più facile per me. Suppongo che sia perché non sono rassegnata e mai lo sarò. Lo sopporto perché devo, ma non sono rassegnata. Perciò non parlare di lei e risparmiami (lettera a Emma Edmunds White)
Nel 1925 Pearl e il marito decisero di adottare una bambina: Janice. Poco dopo la nascita di Carol, Pearl aveva subito un’isterectomia per tumore. In seguito Janice divenne il tutore legale della sorella.
Nonostante il responso dei medici non lasciasse più alcuna speranza, Pearl decise di fare di tutto per insegnare alla figlia a leggere e scrivere, a distinguere i colori, a cantare, a leggere delle brevi frasi. Ma i progressi erano lenti e frustranti per entrambe.
È capitato che le tenessi la mano destra per guidarla a scrivere una parola. Era bagnata di sudore. Le ho preso entrambe le mani e ho visto che erano sudate. Ho realizzato che la bambina era sotto sforzo e che cercava di fare il meglio per compiacermi, sottomettendosi a qualcosa che non comprendeva con il solo desiderio angelico di accontentarmi. Lei non stava realmente imparando qualcosa. Probabilmente avrebbe potuto leggere un po’ ma non avrebbe potuto godere dei libri. Avrebbe imparato a scrivere il suo nome ma non avrebbe mai trovato nella scrittura un mezzo per comunicare. Avrebbe ascoltato con gioia la musica, ma non l’avrebbe mai potuta fare.
Nel 1929 Pearl andò in America con le due figlie a cercare un posto adatto per Carol. L’obiettivo era diventato impellente a causa dei comportamenti incontrollabili della bambina. Le trovò una sistemazione alla Training School di Vineland e con Janice ritornò a casa. Non vide più la figlia per tre anni confessando nel privato che talvolta le aveva augurato di morire.
L’ho lasciata tutta sola per tre anni e quello, ora lo so, è stato sbagliato sia per lei che per me. Dopo tutto, non era mai stata separata da me prima […]Ho pagato un’amica per andare a trovarla e lei mi faceva una relazione ogni mese ma non era la stessa cosa che andare io stessa. Ho giurato che sarei andata a trovarla almeno una volta all’anno.
Nel 1935 divorziò da Lossing e si sposò con Richard Walsh, suo editore. A quel punto si trasferì definitivamente negli Stati Uniti.
Nel 1950 Pearl fece sapere al mondo intero delle condizioni di Carol con la pubblicazione di “The child who never grew” e, sempre in quell’anno, venne scoperta la fenilchetonuria, ma ormai era troppo tardi per tentare di curarla. La malattia genetica è dovuta all’accumulo di un aminoacido, la fenilalanina, per mancanza di un enzima epatico in grado di metabolizzarla. La sua elevata concentrazione nel sangue causa depositi nel cervello con compromissione della funzione e dello sviluppo.
Clinicamente sono presenti ritardo cognitivo, disturbi dello spettro autistico, epilessia, deficit motori, rash cutanei. Il trattamento è basato soprattutto sulla dieta con un regime alimentare a basso contenuto di proteine. A questa si associa la terapia genica con BH4, cofattore dell’enzima deficitario.
Per più di sessant’anni Carol visse in istituto, pagato con i diritti del suo maggior successo letterario: la buona terra. Morì nel 1991 per un carcinoma del polmone, lo stesso che aveva colpito la madre.
Ho imparato il rispetto e il riguardo per ogni mente umana. È stata mia figlia che mi ha insegnato a capire chiaramente che tutte le persone sono uguali nella loro umanità e che tutti devono avere gli stessi diritti.