Di autismo oggi si parla tanto…Ma è cresciuta la cultura sulle neurodiversità?
Nel corso degli anni si è passati dal silenzio di tomba, dovuto anche alla scarsa conoscenza dell’argomento, alla logorrea, anch’essa, ahimè, alimentata spesso da conoscenze scarse e distorte.
Parlo ovviamente dell’autismo e del fantastico mondo che lo riguarda, un mondo fatto di bambini, ragazzi e adulti neurodiversi, parafrasando il grande Tolstoij, “ognuno diverso a modo suo”.
Ed è proprio questo il punto, la molteplicità e la varietà delle modalità secondo le quali si manifesta l’autismo. Nonostante i fiumi di inchiostro scientifico che sono stati versati negli anni, ancora oggi ci troviamo a fare i conti con una superficialità e ignoranza ingiustificate, spesso anche in affermazioni e comunicati provenienti da organi istituzionali. E’ il caso dell’inserimento dell’autismo tra le “psicosi” nel documento di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) del Ministero della Salute. Siamo ancora, nel 2019, a parlare di psicosi come se la ricerca non avesse mosso un passo rispetto ai decenni precedenti, quelli della “mamma frigorifero” per intenderci? Lo stesso si potrebbe dire per l’annosa e imbarazzante storia dei vaccini o per tutta una serie di affermazioni al cui confronto il terzo mistero di Fatima è paragonabile, come fondamento scientifico, all’affermazione che il cuore è un muscolo involontario.
Visto e considerato che chi dovrebbe divulgare notizie verificate scientificamente si abbandona a tragicitravisamenti, appare evidente che anche su altri fronti si vada avanti alla carlona. Il termine autistico, quando non è usato come insulto alla maniera di “cerebroleso” o “encefalitico”, due delle espressioni più gettonate a Roma e nel Lazio per sanzionare comportamenti scorretti soprattutto al volante, viene applicato ad una moltitudine variegata di comportamenti: dal soggetto muto a quello iperattivo, a chi si distrae facilmente o impiega più tempo e più cura a finire un compito e a chi ha un comportamento “originale”, magari cantando o parlando non sempre a proposito, tutti sono sbrigativamente qualificati come autistici nel tentativo di dare un’etichetta, una classificazione che giustifichi una diversità. Perché la diversità fa paura anche nel 2019, più che mai.
Si arriva anche al paradosso, seguendo la strada della classificazione a casaccio, perché all’estremo della fila dei soggetti autistici ci sono quelli geniali. Eh sì, cari miei: eravamo partiti da Rain Man nei favolosi anni ’90 e ce lo siamo trascinati appresso fino a poco fa quando l’attempato Dustin Hoffman è stato soppiantato dal più giovane Freddie Highmore, The Good Doctor dove vengono narrate le gesta di un giovane dottore autistico a “strepitoso funzionamento” come genialmente lo descrive Gianluca Nicoletti. E il punto è proprio questo: in una società che basa la conoscenza sul trafiletto, sulla didascalia e sul sentito di
re, che non pratica l’approfondimento perché ne ignora le dinamiche e fondamentalmente non gli interessa, a meno che il problema non ce l’abbia in casa, vedere che un “autistico” può fare il medico può essere fuorviante perché c’è il rischio che pensi: “Ma allora altro che disabili, questi sono più capaci di noi” e da questo ad arrivare alla lettera di alcuni alunni di un istituto agrario frequentato anche da ragazzi autistici, per i quali si sta cercando faticosamente di mettere in piedi un progetto lavorativo, che denunciava una sorta di discriminazione al contrario, è un attimo.
Dunque, parlare di autismo va benissimo, anzi è doveroso, ma come sempre deve essere fatto con cognizione di causa perché mi pare, da addetta ai lavori in quanto madre di un autistico ormai adulto, che troppo spesso lo si faccia male, in maniera strumentale e scorretta, superficiale e di comodo. Si deve spiegare, e lo si deve fare come si deve, che l’autismo è una patologia multiforme, si deve far capire la differenza tra una persona autistica ad alto funzionamento, che comunica verbalmente, in grado di svolgere attività autonomamente, di prendere l’autobus, lavorare, magari fare la spesa e cucinare, e la persona autistica a basso funzionamento, che non ha una comunicazione verbale e necessità della presenza di un adulto non autistico che lo coadiuvi nella maggior parte delle azioni quotidiane, fino ad arrivare a persone autistiche con gravi comportamenti problema come l’autolesionismo o la violenza verso gli altri.
L’autismo è un mondo bastardo che contiene tutto e il contrario di tutto e chi non lo vive non lo sa, ma deve essere messo in condizione di sapere, di conoscere, senza superficialità, senza generalizzazioni da social di bassa lega. Se alla serie The Good Doctor avessero fatto un’introduzione semplice e chiara dove si spiegavano un po’ di cose, penso che sarebbe stato meglio, ma forse si è pensato, per ragioni di marketing, che “la palla scientifica” era meglio risparmiarla agli spettatori che tanto si sarebbero soffermati su quanto il dottorino un po’ strano fosse figo.
Questo stato di cose ci condanna alla solita giornata celebrativa, passerella di improbabili “meraviglie straordinarie strappacuore” che ogni 2 Aprile si aggira per il mondo. Sarebbe bello, invece, che l’informazione corretta circolasse ogni anno, per tutto l’anno, nei luoghi dello studio, della cultura, dell’incontro, sarebbe bello che venissero pubblicizzate le iniziative dei genitori caparbi e inarrestabili nella loro battaglia per costruire un futuro ai loro figli autistici a qualsivoglia funzionamento e che hanno smesso da un pezzo di aspettarsi qualcosa dalle istituzioni di un Paese che ha una legge sull’autismo senza fondi, che ancora parla di psicosi e accende inutili luci blu senza sapere di cosa parla.
Irene Gironi Carnevale