Pensare Ribelle

Luca in casa famiglia? Marina Viola medita sul distacco dal figlio autistico

Marina Viola riflette con una lucidità lancinante sul problema del distacco da un figlio non autosufficiente. Noi non siamo eterni ma ce lo vorremmo tenere addosso per sempre. Lui ci sopravviverà e il mondo per lui si spegnerebbe alla nostra scomparsa, se fino all’ultimo ce lo tenessimo attaccato. Bisogna decidere fino a che si è lucidi, fino a che si ha ancora un frammento di vita decente da vivere per noi. Quando la luce si spegne, poi resta solo il buio. (GN)


Luca con sorella e cane

Abbiamo finalmente preso l’appuntamento con Tim, che si occupa del “caso Luca” al dipartimento dei servizi per i disabili adulti. Andremo a parlare di quale iter si segue per cominciare a pensare a una casa famiglia per nostro figlio.

La mia amica Cristina viene la mattina a lavorare a casa mia: facciamo lavori molto diversi, entrambi davanti ai nostri computer, ma ci mettiamo sul tavolo della cucina, e tra una chiacchiera e l’altra, lavoriamo. Sono mesi che mi dice che non mi ha mai visto così stanca, così provata. Ha ragione. Dopo quasi ventitré anni di vita con Luca, comincio a sentire un peso sulle spalle e appena sopra lo stomaco che mi abbatte. “Credo che sia ora che vi informiate su come fare a trovare una sistemazione per Luca. Sarebbe giusto per lui, che è grande abbastanza da vivere fuori casa, e per voi, che avete ancora il tempo per godervi una vita più tranquilla”.

Il suo discorso non fa una piega.

Razionalmente.

Emotivamente è come se qualcuno mi volesse strappare le unghie dei piedi e delle mani così, senza anestesia. E forse è proprio questa mia riluttanza il motivo per cui è importante parlarne con Tim. Non voglio che io e Luca diventiamo così dipendenti uno dall’altra da non poter immaginare altre soluzioni di vita, perché poi quando io non potrò più occuparmi di lui, rimarrà davvero da solo. È anche importante che lui faccia le sue esperienze indipendenti da quelle di famiglia. Un sacco di persone con cui ho parlato, sia genitori di figli disabili che operatori del campo, mi hanno detto che molti di questi ragazzoni come Luca, una volta usciti di casa migliorano moltissimo: diventano più autosufficienti, si fanno un giro di amicizie, e cioè di persone come loro, con cui si trovano a proprio agio.

Ci sono case bellissime, con dei bei saloni, una cucina grande e quattro camere da letto: tre per gli utenti e una per gli operatori, che fanno a turno a dormire lì. Quando gli utenti (che brutta parola!) tornano dal centro, ci sono sempre delle attività da fare insieme. I fine settimana fanno le gite, o stanno insieme. L’estate vanno in vacanza. Insomma, una vita tranquilla, sociale, attiva che io e Dan non possiamo garantirgli di fare per sempre.

Tommy, Marina e Colosseo

E poi ci sono anche i genitori, le sorelle e i fratelli di questi adulti disabili che a volte hanno bisogno di uno spazio loro, senza i limiti che l’autismo impone in una famiglia. L’altra sera dovevamo andare al cinema, e invece ci sono andata da sola. Perché chi stava con Luca? Ma non è neanche il cinema, per carità. Chissenefrega del cinema. È che, come dice Cristina, sono stanca. Siamo stanchi.

Eppure, malgrado tutte queste sacrosante ragioni, sento molti pesi sulla mia coscienza: quello dell’egoismo e quello dello stigma attaccato all’idea di “sbarazzarsi” dei figli disabili sono i più pesanti sono i primi a saltare alla mente. Sono tutte e due delle cazzate, razionalmente lo so bene.

Non so se sia più egoista tenersi un adulto disabile in casa tutta la vita, non insegnargli a vivere in modo indipendente (per quanto possibile), finire con l’odiarlo perché è stancante, è limitante, è complesso e negargli la possibilità di farsi una vita in un luogo altrettanto sicuro, “da grandi”.

Abbiamo questa idea, noi genitori di figli disabili, che siamo gli unici a saper stare con i nostri figli. Ma non è vero, nessuno è indispensabile. Ci sono molte persone la cui carriera è occuparsi di loro. Molti sono bravi, altri meno, ovviamente. Ma bisogna imparare a fidarci, perché a volte è un po’ una scusa per non volerli lasciare andare. Bisogna essere vigili, questo sì, sono vulnerabili, è vero. Ma mica li molliamo a chiunque pur di liberarcene.

E da qui lo stigma di volersi sbarazzare dei figli disabili: provate voi, che giudicate e dite “io non lo farei mai”. Provate voi a passare una qualsiasi serata con un ventitreenne addosso quando sono le dieci di sera e vuoi stare un po’ tranquilla. Spiegateglielo voi che si caga e piscia in bagno e non sul materasso. Fateglielo capire voi che i capelli delle persone che non si conoscono non si toccano, che la stessa canzone ascoltata a massimo volume per sette mesi fa venire l’esaurimento nervoso. E comunque mica lo abbandoneremmo: possiamo andare a trovarlo quando vogliamo, possiamo portarlo fuori per una pizza anche tre volte la settimana se ne abbiamo voglia.

Sarà la cosa più difficile che la mia famiglia dovrà affrontare, e mi viene già il magone a pensarci. Ma, almeno razionalmente, credo anche che sia una cosa giusta. Per Luca e anche per noi.

Per ora andiamo a parlarne con Tim, che è già un passo avanti.

Marina Viola

marinaliena

Leggi Pensieri e Parole, il mio blog:
http://pensierieparola.blogspot.com
Marina Viola porta il quaranta di scarpe. Vive a Boston e ci fa il diario di quella che pensiamo essere l’ altra parte della luna. Che significa per noi autistici vivere negli Stati Uniti? Potete farle anche domande….

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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