Quando nel cornetto dell’autistico cioccolata o Nutella fa la differenza…
Di qualche giorno fa uno dei tanti episodi che induce, con amarezza, a verificare quanto la società sia lontana dal comprendere la neurodiversità e continui a soggiacere sulla convinzione che la persona autistica sia stupida a priori.
Mi trovavo fuori di casa e, alla telefonata per verificare che tutto andasse bene, sono venuta a sapere di uno dei tanti scazzi di Benedetta all’interno di un bar. La cosa forse non avrebbe avuto tale risonanza se non ci fosse stato quel brutto periodo che ha reso necessario l’intervento del Centro di Salute Mentale. Frequentare in emergenza il servizio psichiatrico è sicuramente un elemento che non consente l’obiettività, tanto più necessaria quando ci si trova di fronte una persona con neurodiversità.
Mi sono fatta spiegare cosa fosse successo prima delle esternazioni, sicura che ci fosse un motivo più che valido. Certo il modo per esprimere il disappunto poteva essere altro, ma è pur sempre mia figlia e, se non ci fosse stata l’educazione rigida dei miei genitori, forse avrei detto e fatto le stesse cose. Il motivo era di una ovvietà lapalissiana. Benedetta voleva un cornetto alla nutella (croissant per chi non è di Roma!) e le è stato proposto un cornetto al cioccolato, affermando che fosse la stessa cosa e – ahimè – continuando a sostenerlo come solo un neurotipico può fare con il suo simile neurodiverso. La prepotenza di chi pensa di stare dalla parte del giusto e della normalità è imbarazzante. Nessun dubbio, mai.
Nei giorni seguenti ho elaborato, anche psicologicamente, quanto accaduto. La mia presenza e la capacità di semplificare i comportamenti che sembrano strani andando a ricercarne le cause, hanno evitato che si dovesse agire in altro modo. E di solito è l’abuso dei farmaci. Cosa capiterà quando non sarò più a vegliare su di lei? Osservare il paziente sembra ormai una pratica desueta perché la fretta ha travolto anche la professione medica. Ricordo ancora il nostro medico di famiglia che, chiamato a casa perché avevo la febbre, si fermava spesso a chiacchierare con i nonni e quei minuti non erano di semplice conversazione perché lui acquisiva informazioni anche sugli altri componenti della famiglia, così da avere ben chiara una storia anamnestica di ognuno di noi.
La neurodiversità è ancora un mondo inesplorato anche per chi vi si trova professionalmente a contatto: medici di medicina generale, delle emergenze, psichiatri, infermieri, educatori. Gli adulti autistici sono erroneamente considerati degli psicotici, semplificando tutto ed evitando così di comprenderne il ragionamento e il linguaggio.
Nel libro “Il cervello autistico”, si racconta di Carly e di due diversi comportamenti. Se Carly si chiude in sé stessa – se sembra che non vi ascolti, anche se siete seduti davanti a lei, parlando direttamente con lei –, la cataloghereste come iporeattiva. Ma se ha un attacco di nervi – se, come lei dice, comincia a «ridere o a piangere o a fare la pazza o addirittura a urlare senza una ragione che voi possiate individuare» –, la cataloghereste come iperreattiva. Due comportamenti diversi, due diversi sottotipi di profilo sensoriale; almeno, è questo che vi sembrerebbe se foste seduti di fronte a lei, guardandola dall’esterno. Ma se foste Carly? Questo mettersi nei panni, l’empatia che è necessaria se si vuole comprendere la neurodiversità ed entrare in relazione costruttiva. Questo chiedo a chi è professionalmente a contatto con le persone autistiche, affinché nessun gesto venga a priori catalogato come patologico e quindi controllato con i farmaci.
Gabriella La Rovere