Pandemia e fragilità, Il diario della nonna al tempo della “Spagnola”
Nel diario di mia nonna c’è un riferimento alla “Spagnola” che colpì la famiglia e che, come si comprende, non causò morti. La pandemia influenzale del 1918 è stata eccezionale sia in termini di numero di persone infettate che di decessi: 50 milioni in tutto il mondo. Dopo una piccola ondata alla fine della primavera del 1918, ce ne fu una seconda a settembre che si diffuse rapidamente nel giro di un mese causando uno spaventoso aumento del numero di decessi con valori che si mantennero alti fino a novembre per poi decadere nei mesi successivi. Negli Stati Uniti i morti furono circa 600.000, più di tutte le guerre del XX secolo nelle quali furono coinvolti
Molte donne in gravidanza morirono e il 26% di quelle che sopravvissero persero il bambino. Uno studio retrospettivo del 2006 è andato a verificare l’impatto della pandemia influenzale sulla salute dei nati. È noto che le condizioni ambientali influenzano benessere e mortalità. Durante lo sviluppo intrauterino, il feto è molto più vulnerabile, privo di difese.
La tolleranza immunologica gli consente di vivere nel corpo della madre, protetto dall’esterno e anche dallo stesso sistema immunitario materno. In presenza di ambiente fetale sfavorevole, ossigeno e nutrienti vengono ad essere convogliati al cervello, organo nobile rispetto agli altri, con ripercussioni importanti su cuore e reni.
Nei bambini nati a seguito della influenza che aveva colpito la loro madre, i dati sembrano confermare una maggiore incidenza di malattie renali, di cardiopatie e diabete.
Nessun cenno ad eventuali disturbi cognitivi e a sindromi genetiche rare comparse successivamente. Nessun dato sul numero dei bambini e adulti con disabilità morti durante la pandemia. È indubbia una fragilità organica in chi è affetto da malattie genetiche, in chi ha un’epilessia intrattabile. Ricordo ancora il periodo nel quale mia figlia non poté fare il vaccino contro il morbillo perché la sua situazione cerebrale era molto critica.
All’epoca la vaccinazione non era obbligatoria e ho vissuto con l’angoscia che potesse essere infettata da uno dei bambini dell’asilo; se fosse capitato non sarebbe sopravvissuta se non a prezzo di disabilità ancora maggiori.
Questa nuova epidemia riporta a galla le mie fragilità, il senso di impotenza di fronte a situazioni che la medicina può solo osservare suggerendo comportamenti di tipo precauzionale come l’igiene e la quarantena in attesa di un vaccino o della risoluzione della pandemia. In ogni comunità gli elementi deboli sono a maggiore rischio, da sempre e comunque.
Gabriella La Rovere