Buco Nero

Quando ai disabili sarebbero negate le cure per Covid19

Abbiamo letto in una corrispondenza da NewYork di Elena Molinari per AVVENIRE di quelle che sono le normative di alcuni Stati americani rispetto alle emergenze sanitarie per Coronavirus. Ci siamo veramente allarmati leggendo che in qualcuno di quei protocolli è scritto che i disabili psichici sono una delle categorie a cui potrebbe essere negata la terapia in caso di carenza di risorse negli ospedali.  Abbiamo chiesto un commento a Marina Viola da Boston. 


Abbiamo perso.

Tutte le belle parole, le buone intenzioni, i mille messaggi per una quarantena serena con Luca. Tutte parole a vuoto. E tutta la terapia di anni? Tutto a vuoto. Tutto assolutamente inutile.

Perché è facile supportare l’enorme popolazione di persone disabili che esiste negli Stati Uniti mettendo un cuoricino sotto a un video di un bimbo con la sindrome di Down che si scatena in un balletto. È necessario, sembrava, proteggere le persone come mio figlio pagando milioni di dollari per mandarli nelle scuole più all’avanguardia, che offrono tutto ciò che può servire per rendere la loro vita più facile.

Io ci credevo, credevo che le persone avessero capito che la disabilità non definisce una persona. Mi avevate quasi convinto. E invece ci avete fregato. Stronzi.

Perché quando ci si trova a scegliere quale vita salvare, il bimbo che ballava nel video, mio figlio che non produce beni di consumo per la società, non la rende più ricca si fanno morire.

In molti degli stati americani, ormai la notizia è girata, si è deciso che in caso di emergenza, si lascano morire le persone con disabilità motoria e intellettuale. Non si sprecano gli strumenti a disposizione, che sono limitati e se vengono utilizzati per salvare uno come Luca, sono considerati sprecati. Funziona così: se Luca e Sofia hanno bisogno di un tubo per respirare, salvano Sofia e fanno morire Luca. L’Alabama, di tutti gli stati, è il peggiore, ma posti belli e conosciuti in tutto il mondo come New York hanno deciso di adottare precauzioni simili.

Alla fine, la vita delle persone disabili è quella meno importante. Carne da macello. Persone di second’ordine.

Se penso a tutto il lavoro che centinaia di terapiste hanno fatto con Luca. Se penso a tutte le battaglie che io e mio marito abbiamo dovuto affrontare per garantirgli una dignità uguale agli altri. Ecco, adesso tutto questo lavoro non è che uno spreco, per i medici di alcuni stati. Quando i nodi vengono al pettine, il nazismo che c’è dentro di noi viene fuori: discriminazioni? Ma che ci frega, l’importante è guarire.

Tanto quei disabili di merda non servono a niente. Vuoi mettere una persona intellettualmente capace, che ne so, di scoprire la cura per il cancro contro una che sa solo darti dei grandi sorrisi e degli abbracci anche quando c’è poco da sorridere e di abbracciarsi? Non serve affetto: servono persone in grado di produrre, di mantenere questa nazione, di far crescere l’economia. Bello, il bimbo down che balla, ma adesso non ce ne facciamo nulla.

Se prima avevo paura, adesso sono terrorizzata. Non solo del lato pratico della faccenda, e cioè che se Luca dovesse ammalarsi non so se fidarmi più dei medici, ma anche per la velocità con cui si arriva a conclusioni così orribili in due settimane. Prima erano solo gli anziani a essere sacrificati, oggi la lista si espande: anziani e quelli come Luca. Poi, chi ci sarà? Le donne che non possono rimanere incinta? Gli omosessuali? Quelli con la pelle più scura?

Una mia amica medico mi ha chiesto: “Immagina di essere un medico. Hai due pazienti: uno di vent’anni e uno di ottanta e hai un solo respiratore. Cosa fai? A chi lo dai? Chi salvi?” Non lo so, e spero di non essere mai in una situazione del genere. Ma vorrei essere la persona che non decide chi deve vivere o morire a seconda di chi sono i pazienti. Voglio sperare di salvare tutti, indipendentemente da chi sono.

“E tra due persone della stessa età, una disabile e una no, cosa faresti?”, le ho risposto io, per contraccambiare la sfida. “Non lo so, Marina. Non lo so”.

Io sì: trovo assolutamente disumano che il valore di una persona sia legata alle sue capacità intellettive, alla sua produttività.

Lo scrivo nero su bianco: se mi dovessi ammalare e avessi bisogno di un respiratore, donerò quello che servirebbe a me salvare per il bimbo con la sindrome di Down che balla come un matto, ridendo. O qualsiasi altra persona disabile che sarebbe sacrificata per me.

Perché è giusto così. Perché non siamo solo delle macchine produttive. Siamo anche fatti di tanto altro, come mi insegna tutti i giorni quel rompipalle di mio figlio Luca.

E che dio ce la mandi buona.

Marina Viola

marinaliena

Leggi Pensieri e Parole, il mio blog:
http://pensierieparola.blogspot.com
Marina Viola porta il quaranta di scarpe. Vive a Boston e ci fa il diario di quella che pensiamo essere l’ altra parte della luna. Che significa per noi autistici vivere negli Stati Uniti? Potete farle anche domande….

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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