La leggenda di Artesio Perti, l’autistico detto “Tredita”
“Ma Artesio Perti…è davvero esistito?”
“ È davvero necessario saperlo?”
Un breve scambio di battute tra un utente Facebook e Cristian Martini, autore del libro “La leggenda di Tredita”- Edizioni La memoria del mondo. Si racconta di Artesio Perti, persona autistica ad alto funzionamento, vissuto a Parma a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, vero talento musicale che, come “Tom il cieco”, riusciva a riprodurre al pianoforte brani ascoltati una sola volta.
Certamente Artesio era un ragazzo strano. Lo era sempre stato, nessun trauma lo aveva portato ad essere sempre tanto serio e chiuso, senza amici. Lui era così, ci era nato.
Lo scrittore si è imbattuto nella sua storia casualmente, durante un viaggio a Panama. Quando il capo tribù di un villaggio Kuna seppe che era italiano, alzò la mano piegando l’indice e il medio. Non era una forma di saluto ma il riferimento ad un uomo, soprannominato Tredita, che era vissuto in una capanna isolata su una collina, fino all’età di 25 anni quando morì per malaria. Anche per loro era un tipo strano, ma felice.
Il padre di Artesio era stato introdotto nell’ambiente ricco della provincia di Parma e con la moglie si dava da fare per mantenere un alto livello di vita indebitandosi fino al collo: una casa più grande, serate di aperitivi a base di champagne, la presenza del pianoforte, lasciato dal precedente proprietario, e tenuto come semplice elemento di arredo ad avvalorare il finto status sociale.
Il piccolo Artesio passava molto tempo ad osservare ogni singolo tasto, sfiorandolo, senza avere mai il coraggio di suonare. L’occasione venne con la nascita della sorella che piangeva tutto il tempo, a differenza di lui che passava ore ed ore nella sua camera, in silenzio, impegnato ad osservare ogni singolo oggetto. Il pigiare ritmico dei tasti, da sinistra a destra e viceversa, ebbero un effetto calmante sulla piccola. La ripetitività, se da un lato è un elemento utile per sedare l’ansia in persone neurodiverse, dall’altro risulta snervante in coloro che sono inconsapevolmente immersi in una frenesia collettiva.
La madre decise perciò di assumere un’insegnante di pianoforte allo scopo di trasformare in musica ciò che sembrava non avere senso. Da qui lo stupore nel vedere il proprio figlio con altri occhi, purtroppo gli stessi del Colonnello Bethune di Tom il cieco, pensando di ricavare dei soldi dal suo talento naturale.
In tutte e due i casi, nessuno si è chiesto quale fosse la loro felicità. È lo stesso errore che si perpetua nei secoli, non solo negando il libero arbitrio con la scusa del ritardo mentale, ma rifiutando loro gli strumenti per consentire una scelta autonoma, qualunque essa sia. Alain Goussot affermava che alla base di ogni esistenza vi è la libertà e la libertà è basata sulla scelta. Non si può non scegliere, perché anche la non scelta è una scelta, paradosso che spiegherebbe l’esistenza di persone con gravi disabilità che vivono ogni attimo con grande sofferenza, scegliendo questa condizione come affermazione dell’essere. Indubbiamente un’argomentazione filosofica, utile per accettare l’assurdità di alcune esistenze in assenza di alcun tipo di credo religioso.
Per Artesio la spinta a scegliere arrivò con una istitutrice e i primi turbamenti adolescenziali. Più o meno consapevolmente, lo scrittore sottolinea l’appartenenza del personaggio al genere umano, al di là di ogni disabilità. L’amore sacro o profano è da sempre il motore della vita di ognuno di noi. Confinare il disabile nella sfera dell’eterna fanciullezza è un’ipocrita forma di controllo per non avere altre incombenze da assolvere, è la peggiore delle discriminazioni.
La storia di Artesio si conclude con l’unico atto di ribellione possibile alla protervia materna, tagliandosi due dita della mano destra e andando incontro alla sua idea di libertà e felicità. Ritorniamo quindi all’iniziale scambio di battute su Facebook che ci dimostra che tutte le volte che qualcosa infrange una regola, si crea il giusto interesse. E la neurodiversità ne è l’esempio più lampante.
Gabriella La Rovere