Tema: “Oggi 3 dicembre è la giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità”.
Svolgimento.
Il sistema scolastico italiano è uno dei pochissimi al mondo in cui gli alunni sono posti in situazione di reale inclusione. Affinché siano pienamente inseriti all’interno delle classi che frequentano, gli alunni con disabilità sono “accompagnati” nel loro percorso da insegnanti specializzati nelle attività di sostegno scolastico.
Cinquant’anni fa, la mia insegnante mi avrebbe dato la sufficienza perché non c’erano errori di grammatica, ma al solito mi avrebbe bonariamente rimproverata perché l’elaborato era poco aderente alla realtà, viaggiavo troppo con la fantasia. Cinquant’anni fa non esisteva il sostegno scolastico, c’erano le scuole speciali; i bambini, i ragazzi e poi gli adulti con disabilità venivano tenuti a casa o messi in istituto lontano da tutto e da tutti, in posti cosiddetti caritatevoli dove spesso si usavano sistemi di coercizione e di violenza.
Il passaggio che apre questo mio tema è preso dalla Legge di Bilancio e Scuola, approvata dal governo e ora al vaglio in Parlamento. Viene da chiedersi chi ha avuto il coraggio di scrivere una cosa così lontana dalla realtà, perché – al di là delle bellissime scuole dove tutto funziona, dei percorsi educativi progettati ad personam (e che sono pochissime, accidenti!) – ogni anno si assiste alla solita vergogna delle ore di sostegno insufficienti, di insegnanti poco qualificati, di situazioni imbarazzanti nelle quali ogni genitore si è trovato e che sembrano presi dal teatro dell’assurdo.
Ma continuiamo con l’analisi del testo. Come mai il participio passato di accompagnare è tra virgolette? Facendo riferimento alla grammatica italiana, visto che non si tratta di discorso diretto, che non è una citazione, che non si riferisce al titolo di un giornale o di un libro, si può dedurre che è per mettere in evidenza una parola con un significato particolare, spesso figurato o ironico. Ci sarebbe da ridere per non piangere. È vero, il virgolettato di accompagnati è assolutamente ironico!
Gli insegnanti specializzati sono inseriti in apposite graduatorie, alle quali accedono se in possesso di un titolo di specializzazione, conseguito attraverso un percorso di specializzazione selettivo di 60 CFU disciplinato dal Ministero dell’Istruzione.
Siamo sicuri che si parla sempre dell’Italia? Ma soprattutto, siamo sicuri che chi ha redatto questo documento l’abbia riletto per controllare errori o ripetizioni? Non si tratta di un tema letto ad una classe di 20 persone, dove lo sberleffo procrastinato per giorni è normale e, per certi versi, educativo, ma di un documento disponibile per l’intero mondo, e che rimarrà a futura memoria per i nostri pronipoti.
Ma il bello deve ancora arrivare. Visto che le risorse sono quelle che sono, che gli insegnanti di sostegno sono sempre pochi, che ci sono sempre più alunni in situazione di difficoltà, qual è il coniglio tirato fuori dal cilindro? Una modifica della valutazione di gravità dello stato di handicap.
Risulta evidente che, a prescindere dal dettato normativo della Legge 104/1992, che tuttora si limita a collocare in due soli contesti di riferimento la condizione di disabilità, segnatamente individuando la condizione di “handicap” e di “handicap grave”, la misura introdotta consente di calibrare con più precisione e con maggiore attinenza le risorse ai fini dell’attribuzione delle ore di insegnamento specializzato.
E qui subentra una sorta di confusione-delirio perché i range relativi al livello di compromissione funzionale che porta ad affermare che un bambino ha un handicap, sono altri intervalli di numeri con i quali si vuole classificare una persona -lo sottolineo- non il grado di soddisfazione di un servizio svolto da Amazon.
Il punto più alto di questa farneticazione è l’affermazione che l’alunno cieco non può essere inserito tra coloro con disabilità grave in presenza di buon livello cognitivo. In questo modo raffazzonato il legislatore pensa di recuperare delle ore di sostegno da dare ad altri, scordando che da anni si afferma che l’insegnante di sostegno non è l’insegnante dell’alunno con disabilità, ma di tutta la classe. E che è possibile cavillare sulla definizione dell’invalido al 100% come colui che non riesce a svolgere i normali atti del quotidiano, perché applicabile, assolutamente aderente, alla realtà dei nostri figli con disabilità mentale.
Il finale è l’ennesimo scaricabarile alle regioni e ai comuni per trovare le risorse economiche e umane per coprire i piedi lasciati fuori dalla coperta troppo corta, suggerendo il coinvolgimento delle cooperative. In questo modo l’insegnante di sostegno verrà barattato con un semplice operatore. Come non averci pensato prima! Nonostante tutto, buon 3 dicembre!
Gabriella La Rovere