Non ci sarà S. Valentino per il “Cervello Ribelle” (per fortuna…)
Niente S. Valentino per menti scollegate come le nostre. Per fortuna mi verrebbe da dire. Ieri sera guardavo su Rai1 “Parlami d’amore” quel capolavoro di necrofilia dedicato alla notte degli innamorati, condotto da Veronica Pivetti e Paolo Conticini. Pensavo di essere fortunato a non sentirmi coinvolto dall’emetico trionfo di cuoricini trafitti che oggi dilaga ovunque.
Chi è innamorato non ha bisogno di far festa in famiglia, con mamme padri nonne e zie, come nella visone ospiziale della rete ammiraglia. Soprattutto immagino che chi abbia carne appassionata a disposizione abbia altro da fare. Tanto meno sentirsi sessualmente mortificato dalle mummie in disfacimento riesumate per l’abbonato in prima fila.
La mia è una mera supposizione, da qualche anno posso serenamente confessare di non avere mai capito bene cosa significasse la domanda “Ma tu mi ami?” che sin da ragazzo sentivo farmi con fastidiosa insistenza. Ho sempre detto si per togliermi il fastidio di torno, in realtà capivo solo che si alludeva a una dimensione che non sapevo definire.
La mia certificazione del così detto “innamoramento” non è mai saputa andare oltre una sensazione oppressiva, una smania di possesso di un’altra persona, la ricerca di un interlocutore paziente e comprensivo, o un complice entusiasta per il ristoro all’affocamento dei sensi.
Come sei arido!!! Diranno in molti.
Eppure ho fatto tutto quello che attorno a questa parola solitamente avviene, ho tenuto molto a molte persone, mi sono dannato l’anima per lasciti e abbandoni, ho fatto cazzate superlative per occhi dolci e poco più. Infine ho pure messo su una famiglia di cui ancora mi occupo a tempo pieno. Ancora però se qualcuno mi racconta dei propri amori, eterni e corrisposti, mi viene il mal di stomaco.
Se dovessi immaginare oggi una formula con cui realizzare il filtro d’amore adeguato alla contemporaneità abbonderei con l’ingrediente della leggerezza. Insomma nulla che chiami in campo ansia, afflizione, senso del dovere, palpitazioni e attese, obblighi di reciprocità. Insomma qualcosa da sbocconcellare fino a che vada bene a entrambi e poi pace, amici come prima se riesce, altrimenti reset totale di ogni cascame che possa ottenebrare la nostra serenità. In fondo quello che chiamiamo amore (nel senso di sensuale attrazione) è un residuo dell’antico estro necessario alla prosecuzione della specie. Poi ci è piaciuto costruirci sopra perché siamo animali evoluti e ci sta, basterebbe che non ci avvelenasse la vita, che è già abbastanza pesantuccia.
Infine non posso che considerare quello che la sorte mi ha proposto, da un certo punto in poi, ossia l’obbligo di fare i conti con il mio cervello non proprio nello standard. Ci sono arrivato qualche anno dopo essermi arrovellato su quello, proprio fuori serie , di mio figlio Tommy, devo dire che mi è servito a gestire serenamente l’eresia di cui sopra ho fatto pubblica confessione.
Proprio l’altro ieri una mia cara amica, che si chiama Simona Levanto e che molto si da da fare per autismo e dintorni, mi ha chiesto un video per l’incontro “Love actually. Qualcosa è cambiato”. “Sessualità e affettività e non viceversa” organizzato dalla sua “Giuliaparla Onlus”. https://www.facebook.com/GiuliaparlaOnlus. Qui lo ripropongo, con l’avvertenza di non farsi grandi attese, alla fine è sempre la solita s….!
.
Non è che abbia molto da dire su questo tema, almeno oltre quello che ho già da anni già scritto e detto. E’ evidente che se ancora mi chiamano a ripeterlo nessun passo avanti è stato fatto da allora (Una notte ho sognato che parlavi 2013). Sono otto anni che non si va oltre l’autoerotismo “sorvegliato”, almeno per gli autistici a basso funzionamento come Tommy.
Povero figlio mio, stai messo veramente peggio di me in questo S.Valentino, nessuno vede altro che un triste futuro di amori solitari per te e quelli come te… Abbi fiducia, non è detta l’ultima parola, spero che diventerai un artista quotato e per gli artisti si è sempre chiuso un occhio!