Neurodiversità e lavori a maglia
E io mi rifugio nei lavori a maglia. Non riesco a pensare, ho la testa vuota, solo i fili di lana intrecciati sembrano in grado di dare ordine al mondo (Clara Sereni in “Mi riguarda”)
Giorni fa ho postato su Facebook questa frase che aveva dato un senso al mio strano impulso di riprendere in mano i ferri dopo quaranta anni. Non è un periodo facile quello che sto attraversando da due anni e mezzo e la recente spinta a fare enormi sciarpe colorate nelle quali avvolgersi è stato l’inconscio gesto salvifico per non morire di dolore. Certo non avrei immaginato di fare uscire allo scoperto uno stuolo di mamme come me che sferruzzano in silenzio, che in tutti questi anni hanno creato manufatti poi regalati a parenti e amici.
Il lavoro a maglia non è un’attività dell’età moderna; gli esempi più antichi sono tre piccoli frammenti di tessuto che furono trovati sul sito delle rovine di un’antica città siriana chiamata Dura Europos. Questa venne fondata nel 280 a. C. come fortezza militare dai soldati macedoni che avevano conquistato e governato la Siria sotto Alessandro il Grande. A causa della sua posizione strategica sulle sponde dell’Eufrate, venne conquistata prima dai Parti e poi dai Romani, e nel 256 d. C. i Persiani la attaccarono e distrussero. Abbandonandola totalmente devastata, non fecero caso a dei pezzi di maglia rimasti a terra. Il deserto presto seppellì i resti di Dura Europos e con essi i pezzi di maglia. Il clima particolarmente secco ha permesso la conservazione di questi manufatti come se fossero stati sigillati sotto vuoto in buste di plastica. I tre reperti lavorati a maglia trovati nel sito potrebbero essere pezzi di intimo, calzetteria o altro tipo di vestiario. Due dei tre frammenti erano lavorati a coste con bande colorate.
La conoscenza del lavoro a maglia non venne persa con il saccheggio di Dura Europos in quanto ci sono inconfutabili evidenze che fosse praticato in Egitto dai Copti. Cinque articoli lavorati ai ferri sono stati ritrovati in tombe egiziane: si tratta di un cappello e di calze alla caviglia.
Ci sono due ipotesi di come l’arte del lavoro a maglia sia giunto in Europa. Quando gli Arabi conquistarono l’Egitto nel 641, trovarono una fiorente industria tessile portata avanti dai Copti, che continuarono a lavorare e a tessere per i loro nuovi padroni. Espandendosi per andare alla conquista di nuove terre, gli Arabi ottennero il controllo della penisola iberica nel 711, così l’arte e la cultura islamica venne portata ai nativi della Spagna. Un’altra ipotesi, relativa alla diffusione di questa attività in Spagna, coinvolge la Chiesa Cristiana. È noto che i missionari copti furono mandati in Spagna e Italia e si sostiene che essi, avendo praticato l’arte del lavoro a maglia in Egitto, possano averlo portato in Europa.
Lavorare a maglia fa stare bene, lo sa perfettamente chi lo pratica, e su questa attività ci sono stati diversi studi scientifici. Uno dei primi effetti, che di solito viene riferito, è la posposizione di un problema che assilla la mente. Il lavoro a maglia induce la persona ad essere concentrata su un punto, e l’automatismo del gesto, a frequenza costante, lo rende simile alla meditazione. Dal punto di vista medico, e anche riabilitativo, il lavoro a maglia migliora la motricità fine; le dita, la mano e le spalle sono usate allo stesso tempo prevenendo le infiammazioni delle articolazioni e dei tendini. Il benessere generale, la riduzione dello stress, si traduce anche in miglioramento del sonno, con riduzione dei casi di insonnia.
Il lavoro a maglia viene insegnato da piccoli ed ha una sua valenza pedagogica portata avanti da Rudolf Steiner e Maria Montessori. Penso a mia nonna Giulia che mi ha insegnato l’uncinetto quando avevo appena quattro anni, un modo per tenermi impegnata, io che avevo la facilità di annoiarmi se non facevo qualcosa. Ricordo la pace che regnava quando, seduta accanto a lei sulla mia sediolina di legno, portavo avanti il mio lavoro fatto di un rettangolo di maglia bassa prima, e di maglia alta dopo. La routine del gesto, di per sé tranquillizzante, e l’impegno profuso dimostrato dalla progressione, riga dopo riga, del lavoro aveva poi il rinforzo pedagogico dei suoi preziosi commenti ed esortazioni. Un periodo magico che inconsciamente io e tante altre mamme, affaticate dal pensiero dei nostri figli fragili, cerchiamo di ricreare tutte le volte che ci sediamo, prendiamo in mano i ferri e, in religioso silenzio, lavoriamo.
Gabriella La Rovere