Uso di probiotici nel disturbo dello spettro autistico: qual è il razionale scientifico?
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un crescente interesse della comunità scientifica nei riguardi del microbiota intestinale. Una domanda molto semplice che può sorgere nei non addetti ai lavori è quella di chiedersi perché si parla di flora batterica intestinale nel Disturbo dello spettro autistico (ASD).
Da un lato, è noto che i bambini con autismo presentano più frequentemente sintomi gastrointestinali rispetto a bambini a sviluppo tipico; questa comorbidità (ovvero la presenza di più disturbi nello stesso soggetto) determina spesso un peggioramento dei sintomi comportamentali nei bambini affetti.
Dall’altra parte, numerosi studi hanno evidenziato la presenza, nelle persone autistiche, di una disbiosi intestinale, una condizione in cui la composizione del microbiota intestinale appare alterata rispetto alla percentuale dei batteri che lo compongono (lattobacilli, bifidobatteri, etc), se confrontata con la composizione della flora batterica di individui a sviluppo tipico.
Normalmente, la flora batterica intestinale ha una funzione fondamentale nello sviluppo del nostro sistema immunitario; i batteri cosiddetti “buoni” educano i globuli bianchi a rispondere in maniera equilibrata ai diversi stimoli che possono raggiungere il nostro organismo: non solo virus e batteri “cattivi”, ma anche alimenti, farmaci, cellule. Inoltre, le sostanze rilasciate dai microrganismi che compongono il microbiota possono, attraverso il nervo vago, favorire il rilascio di diverse molecole-segnale tra cui l’ossitocina, un ormone coinvolto nel parto, nell’allattamento e nella creazione di legami affettivi.
Questo dialogo a due direzioni tra intestino e cervello, più conosciuto come gut-brain axis, spiega perché in condizioni di stress presentiamo più frequentemente disturbi intestinali, ma giustifica anche il contrario: la presenza di una disbiosi intestinale avrà conseguenze a livello cerebrale. Come? A partire dalle pareti intestinali, la disregolazione della popolazione microbica determina un aumento dello stato infiammatorio e di conseguenza attraverso le molecole dell’infiammazione (citochine), che circolano nel sangue, lo stato infiammatorio ha ricadute a livello cerebrale; di conseguenza, il funzionamento del sistema nervoso centrale può subire delle modificazioni, e con esse anche il comportamento e l’umore possono essere influenzati.
Recentemente, alcuni studi su modelli animali con ASD hanno mostrato che la supplementazione con specifici probiotici (composti che contengono microrganismi che fanno parte della flora batterica normale) può essere utile a migliorare il comportamento stesso, agendo appunto attraverso l’asse intestino-cervello. Nel 2019 un gruppo di ricerca americano, guidato dallo scienziato Mauro Costa Mattioli, ha pubblicato un lavoro sulla prestigiosa rivista scientifica Neuron dal titolo: “Mechanisms Underlying Microbial-Mediated Changes in Social Behavior in Mouse Models of Autism Spectrum Disorder” in cui è stato dimostrato che, in topi geneticamente modificati che presentavano comportamenti simil-ASD, il trattamento con uno specifico ceppo della specie batterica Lactobacillus Reuteri (ATCC PTA 6475) poteva ridurre i deficit sociali. Questo miglioramento delle abilità sociali nel topo avviene attraverso la stimolazione, a livello gastrointestinale, del nervo vago, che causa a sua volta un aumento della produzione di ossitocina e, di conseguenza, potenzia il valore gratificante degli stimoli sociali. Questi dati supportano l’idea che le terapie microbiche possano migliorare specifici aspetti comportamentali, potendo modificare addirittura i sintomi core del disturbo dello spettro autistico.
Una revisione della letteratura pubblicata di recente (ottobre 2021) sull’European Journal of Clinical Nutrition da un gruppo di ricerca australiano ha preso in esame i diversi studi che negli ultimi dieci anni hanno testato, in popolazioni ASD, l’uso di probiotici, prebiotici (sostanze utilizzate dai microrganismi per portare beneficio all’organismo che li ospita) o di sinbiotici (l’unione di probiotici e prebiotici)
Gli autori hanno riportato l’efficacia di alcune specie batteriche nel ridurre i disturbi gastrointestinali e la gravità della sintomatologia autistica, in alcuni degli studi esaminati; questi risultati indicano un possibile beneficio al di fuori dall’ambiente intestinale, supportando la teoria della disfunzione dell’asse microbiota-intestino-cervello nel disturbo dello spettro autistico.
In altri lavori, inoltre, è stato dimostrato che l’integrazione della dieta con probiotici può modificare la composizione del microbiota e ridurre i marker dell’infiammazione a livello generale.
Gli autori della revisione ipotizzano inoltre che il beneficio terapeutico della l’integrazione prebiotica, probiotica o sinbiotica nei soggetti con autismo risieda nella capacità del supplemento alimentare di modificare la composizione del microbiota intestinale, in maniera tale da riequilibrare la permeabilità intestinale, ridurre i processi infiammatori e ristabilire la comunicazione dell’asse microbiota-intestino-cervello.
Dal confronto tra i diversi studi è emerso che l’efficacia dell’integrazione alimentare cambia a seconda dell’età dei soggetti coinvolti, risultando maggiore nei più piccoli: l’età infantile rappresenta quindi una finestra di tempo molto rilevante, in cui le interazioni dell’asse microbiota-intestino-cervello giocano un ruolo fondamentale nel modulare lo sviluppo di determinate funzioni nell’ospite, ciascuna diversa a seconda della specie batterica presa in esame.
La ricerca in questo campo è estremamente interessante e in costante crescita: tuttavia, i risultati emersi finora appaiono contrastanti, con studi che mostrano beneficio a seguito della supplementazione batterica ed altri lavori in cui non è stata riportata alcuna variazione. Sicuramente, il fatto che si prendano in esame studi così differenti dal punto di vista del tipo specifico di ceppo batterico (o mix di diverse specie) utilizzato, dosi, durata dell’integrazione alimentare, nonché le diverse tecniche di analisi dei dati, costituisce un’importante limitazione nell’interpretazione dei risultati.
Inoltre, i lavori analizzati dagli autori della revisione sono eterogenei anche dal punto di vista della tipologia: nella maggior parte dei casi si tratta di studi open-label, in aperto, in cui il soggetto, la sua famiglia e i ricercatori sono a conoscenza del fatto che ci sia o meno una supplementazione, ed è quindi molto facile che i risultati possano essere influenzati positivamente dalle aspettative personali (il cosiddetto effetto placebo); solo in una minoranza gli studi sono in doppio cieco, ovvero sperimentazioni in cui né il soggetto (e la sua famiglia) né i ricercatori sono a conoscenza di chi sta assumendo cosa: questo condiziona meno i risultati dello studio, che acquisisce maggiore rilevanza scientifica.
Riteniamo infine che serviranno ulteriori studi in doppio cieco, possibilmente con un più ampio numero di pazienti e misure oggettive dei risultati, per comprendere meglio la relazione tra microbiota, intestino e cervello e approfondire le implicazioni della modulazione del microbiota intestinale nei disturbi dello spettro autistico.
In sintesi, l’area di ricerca sui probiotici offre una possibilità davvero eccezionale nel campo dell’età evolutiva e più nello specifico nell’area del disturbo dello spettro autistico, poiché attraverso una modalità di intervento poco invasiva – una supplementazione alimentare – sembrerebbe possibile agire sul sistema nervoso centrale e su tutta una serie di funzioni da esso dipendenti, non ultimo il comportamento sociale.
Contributo scientifico: Team Autismo Tor Vergata
UOSD Neuropsichiatria Infantile, Policlinico Universitario di Tor Vergata